Quella della persecuzione e dello sterminio di rom e sinti è una storia ancora negata. Il mancato riconoscimento ha posto le basi all’antiziganesimo
Il Porrajmos o Samudaripen, la persecuzione e lo sterminio di rom e sinti, non trova ancora spazio nella legge che istituisce la Giornata della Memoria, la 211 del 20 luglio del 2000, che recita: ‘Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti’.
Il commento di Giulia Di Rocco
“Sono 4 anni che collaboro con l’Unar e vado, come rappresentante rom, in Polonia, ad Auschwitz, per rendere omaggio anche ai nostri caduti”, racconta Giulia Di Rocco, presidentessa di ‘Mistipè’, il primo partito dei Rom e Sinti italiani. “Poi quando vado nelle scuole, soprattutto per la giornata della memoria, nei libri di storia non c’è la nostra storia; eppure noi abbiamo più volte fatto leva al ministero dell’Istruzione di inserire la storia anche dei sinti e dei rom”. “Dobbiamo dire grazie ad alcuni testimoni ebrei che si sono esposti raccontando come in quei campi di sterminio ci fossero anche i Rom. Solo grazie a loro abbiamo iniziato a essere riconosciuti formalmente, ma non in pratica anche dal Governo”.
“Nessuno ci ha mai chiesto scusa, al processo di Norimberga [siamo stati] gli unici a non essere risarciti” e quindi riconosciuti come vittime. “Neanche in Italia c’è mai stato un politico che abbia chiesto scusa alla comunità durante le celebrazioni per la giornata della memoria”.
La storia l’unico rimedio agli erronei stereotipi che discriminano rom e sinti
Bisogna riconoscere la storia per rigettare quel cumulo di pregiudizi e stereotipi nati con i testi di Alfred Dillman, in particolare lo ‘ZigeunerBuch’ del 1905, e poi cavalcati dal fascismo e dal nazismo. Lì nasce il mito dello “zingaro asociale, nomade e fannullone, abituato a vivere nei campi”, è da quelle convinzioni che prendono il via i primi censimenti, le deportazioni e poi le moderne le politiche di segregazione nei campi nomadi. Ed è proprio da quella marginalità che la comunità è stata resa un facile bersaglio verso cui incanalare tutte le colpe che affliggono la società.
“Siamo 180mila, in pratica lo 0,23% della popolazione, solo il 3% è nomade e solo in 26 mila vivono nei campi- sottolinea Di Rocco- eppure l’immagine che danno, soprattutto i media, è sempre quella del rom sporco, brutto e cattivo che vuole vivere in un campo. Ma quale persona sana di mente vorrebbe vivere in un campo se avesse la possibilità di vivere una vita dignitosa?”. Stereotipi che diventano però macigni nella vita di tutti giorni e nel difficile percorso di integrazione.