Una ricerca su 67 coppie proprietario-cane ha dimostrato che questi ultimi reagiscono come i bambini quando inaspettatamente “abbandonati”.
Il modello di attaccamento che i cani sviluppano verso i proprietari è come quello dei bimbi verso i genitori o ‘prestatori di cura’. A rivelarlo uno studio, pubblicato sulla rivista Animals-Mdpi, condotto dal dipartimento di scienze veterinarie dell’Università di Pisa.
I dettagli dello studio
Lo studio ha coinvolto 67 coppie di cani e proprietari che sono stati sottoposti a delle varianti dell’esperimento denominato ‘Strange situation procedure (Ssp)’. Si tratta di una situazione di “finto abbandono” usata per valutare gli stili di attaccamento dei bambini.
I ricercatori, per prima cosa, hanno fatto entrare la coppia cane-proprietario in una stanza sconosciuta. In seguito hanno gestito, secondo una sequenza codificata, l’entrata e l’uscita del proprietario o di un estraneo per capire la risposta dell’animale.
È emerso così che la maggioranza dei cani, come del resto accade per i bimbi, mostra un attaccamento ‘sicuro’. In altre parole, i cani hanno mostrato un moderato stress quando avviene una separazione involontaria, in cui il proprietario li lascia da soli in un ambiente sconosciuto, e si tranquillizzano non appena lo rivedono. C’è invece una minoranza di ‘insicuri’ che non si calma o che manifesta il disagio attraverso una apparente indifferenza, come nel caso degli ‘insicuri evitanti’.
Il commento di una ricercatrice
“Che da questo punto di vista i cani da compagnia avessero dei comportamenti simili a quelli dei bambini si sapeva già” spiega Chiara Mariti, ricercatrice dell’Ateneo pisano. “Questa però è la prima volta che siamo riusciti a declinare più precisamente i vari stili di legame sottoponendo i cani a test molto simili a quelli usati per gli umani“.
“Lo studio degli stili di attaccamento tra cane e proprietario è ancora agli albori, se paragonato a quello in psicologia e psichiatria umana“, aggiuge Mariti. Le ricerche, al momento sembrano condurre a risultati simili a quelli ottenuti in ambito umano. Se questo accadesse effettivamente “avremmo una nuova chiave di lettura per capire alcuni disturbi comportamentali del cane con enormi implicazioni in termini di benessere animale“, conclude la ricercatrice.