La campagna vaccinale anti covid prosegue, anche se la strada per l’immunizzazione di massa è ancora lunga, e avanzano anche le varianti del Covid. In Italia come nel resto d’Europa. A un anno dall’esplosione del virus in Occidente. Siamo all’ennesimo bivio: il contagio è meno evidente dell’autunno o della scorsa primavera, ma il Covid circola ancora tanto. E le mutazioni potrebbero complicare la campagna vaccinale. Si pone allora il solito problema: come arginare la diffusione del virus in un momento così delicato? I virologi si spaccano. C’è chi chiede un lockdown immediato, anche se breve, per resettare il sistema, incrementare il sequenziamento e riprendere il tracciamento. E chi, invece, ritiene che chiudere tutto in questo momento non abbia alcun senso. Che per sconfiggere il Covid, o almeno controllarlo, bisogna mantenere certamente misure di distanziamento, ma soprattutto accelerare con le vaccinazioni.
La decisione aspetta al governo
La decisione spetterà al governo, ma intanto gli esperti dibattono. E le spaccature sono evidenti. Il più strenuo sostenitore del lockdown “immediato, intenso e limitato nel tempo” è Walter Ricciardi, consulente del ministero della Salute. L’esperto da settimane caldeggia questa tesi, ma ieri è parso più categorico. Ne ha già parlato con il ministro Roberto Speranza: “Credo sia convinto di questa nuova fase. Spero che il presidente del Consiglio Draghi recepisca e che il governo appoggi, ma dipende dal governo”. Con il titolare della Salute, ha continuato, “sono sempre stato in piena sintonia sul rigore delle misure. Ma da settembre non siamo riusciti ad essere impattanti pienamente sulle decisioni del governo. Soprattutto perché il precedente presidente del Consiglio e alcuni ministri non erano d’accordo sull’adozione di misure così forti”. Parola al nuovo esecutivo, dunque.
A lanciare l’allarme è anche Andrea Crisanti: “Bisognava fare il lockdown a dicembre, prevenendo tutto questo, mentre ora siamo nei guai.”, sostiene il microbiologo. Come se ne esce? Come è solito fare, il professore non usa mezzi termini: “Va chiuso tutto e va lanciato un programma nazionale di monitoraggio delle varianti”. In particolare:
“Dove si trovano le varianti brasiliana e sudafricana servono lockdown stile Codogno, non le zone rosse che sono troppo morbide”. Gli sviluppi, aggiunge, dipenderanno dalla dinamica del contagio, ma l’orizzonte non è roseo: ’Se va come all’estero ci sarà un’impennata importante a fine febbraio”.
I rischi principali, per il professore, sono la variante inglese e la nascita di eventuali nuove mutazioni. Sulla stessa linea Massimo Galli: “Ricciardi ha ragione in linea di principio”. Perché ”è davanti agli occhi di tutti che la faccenda delle Regioni colorate ha funzionato molto poco senza toglierci dal problema”. Anche per Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, chiudere tutto subito sarebbe la soluzione migliore. Perché eviterebbe ulteriori stop and go nel resto dell’anno:
“La strategia che il governo ha assunto è quello della convivenza con il virus, varando misure per evitare la saturazione degli ospedali. Questo tipo di strategia possiamo portarla avanti per tutto il 2021, con stop&go a seconda della situazione, sapendo che la zona rossa funziona bene, quella arancione in maniera alternata, quella gialla sostanzialmente non dà benefici dal punto di vista del contrasto alla diffusione del virus.
Chiudere tutto per 2 settimane significherebbe abbassare la curva per poter riprendere il tracciamento”. Ma su quest’ultimo punto pesa un’incognita: “La mia preoccupazione però è legata al fatto che non tutte le regioni siano pronte all’attività di testing e tracciamento”. Le alternative restano quelle. E dal vaccino non si possono aspettare benefici immediati su larga scala: “Dobbiamo decidere se siamo disponibili ad accettare una restrizione maggiore per abbassare la curva, oppure se accettiamo di avere un 2021 che andrà avanti con stop&go. Immaginare che la somministrazione del vaccino possa far migliorare la situazione è molto difficile, sia per i tempi sia per l’incognita varianti”.
L’aumento dei ricoveri
Nel mezzo si collocano il presidente dell’Aifa, Giorgio Palù e Lorenzo Pregliasco, virologo dell’Università degli studi di Milano. Il primo non apre la strada al lockdown totale, ma ricorda che nel futuro prossimo non si potrà procedere con aperture ulteriori: “Se terremo a bada il virus nei prossimi due tre mesi, forse usciremo dal raggio della sua minaccia. Le infezioni respiratorie raggiungono il picco in inverno e in primavera-estate si mitigano. Dobbiamo, fiducia! Spingendo sulla vaccinazione e rinunciando per qualche altra settimana ad attenuazione di colori e tentazioni di riaperture”. ha detto al Corriere della Sera. “Siamo in una fase discendente della curva epidemica, anche se lenta. Non è il momento di distrazioni. Fino a che l’abbassamento dell’Rt non sarà significativo tutti noi siamo chiamati a rispettare le misure di protezione individuale ed evitare gli assembramenti. Sulle tre varianti dice:
“Rendono il Sars-CoV-2 più contagioso e quindi aumentano il rischio di ricoveri in ospedale e di decessi. La preoccupazione non si può negare. Però ripeto, per tenere sotto controllo le varianti, a cominciare da quella inglese, più diffusa in Italia, servono le stesse precauzioni e le stesse misure utilizzate per il ceppo originario di Wuhan, la città cinese dove la pandemia è nata”. Pregliasco ammette che il lockdown sarebbe la misura più efficace, ma riconosce che non sarebbe più socialmente sostenibile:
“A mio avviso forse sarà necessario rivedere i parametri di aperture e chiusure, essere più flessibili. Perché, si sa, quando una regione va nella fascia gialla, il rischio di perdere i progressi ottenuti c’è. Vediamo se saranno fattibili interventi chirurgici, zone rosse come l’Umbria, da far scattare in base a valutazioni più stringenti”.
Una linea simile è stata espressa anche da Pierluigi Lopalco, epidemiologo e assessore alla Sanità pugliese: “Lockdown? Sotto questa parola si
dice tutto e non si dice niente. Semmai in questo momento anziché parlare di lockdown penserei a delle misure selettive, rafforzate, per evitare tutte quelle situazioni in cui virus circola di più e che conosciamo ormai bene”.
Covid e le misure barbare
La contrarietà al lockdown emerge chiaramente dalle parole di altri esperti. Parla di lockdown come “misura barbara” Matteo Bassetti: “Bisogna intervenire con micro zone rosse”, perché una chiusura come a marzo sarebbe “un tornare indietro”, dice il direttore della clinica di Malattie infettive del San Martino di Genova. “Non dico che le chiusure non producano risultati, ma forse ci si può arrivare in maniera diversa – spiega Bassetti -. Oggi abbiamo strumenti più precisi. Si può inserire tra i parametri la prevalenza di varianti sul territorio”.
Sulla stessa linea Maria Rita Gismondo. La direttrice del laboratorio di Microbiologica del Sacco di Milano non nega che un lockdown abbatterebbe la curva del contagio, ma invita ad esaminare anche gli altri aspetti. Primo tra tutti, la “serenità psichica” delle persone: “Un lockdown severo oggi, se certamente potrebbe apportare dei benefici in termini di prevenzione della circolazione delle nuove varianti” di Sars-CoV-2, “sarebbe un disastro dal punto di vista psicologico, sociale nonché economico”.
Le chiusure potrebbero ritardare l’espandersi delle varianti, ma non certamente impedirlo: “La variante” inglese, “che adesso noi conosciamo solo in parte e che pare essere più contagiosa si diffonderà comunque. Il virus non ha frontiere”, ripete la scienziata: “Le possiamo chiudere, il virus ci impiegherà un po’ più di tempo a penetrarle, ma lo stesso arriverà. Quindi le strategie devono essere almeno europee – suggerisce Gismondo – e devono sempre più tener conto, di fronte a una popolazione ormai stanca, delle reazioni che può avere la società”.
Covid e le misure di restrizione
Invita a investire ogni energia sul vaccino, lasciando perdere il lockdown Roberto Burioni: “Una cosa vi dico: è molto difficile per un vaccino avere un’efficacia sul campo maggiore di questa. Adesso sbrighiamoci. Il problema non si risolve con le chiusure che servono solo a guadagnare tempo. Si risolve con il vaccino”, ha scritto il virologo su Twitter. Un confinamento stile marzo-aprile scorsi non serve neanche secondo il direttore sanitario dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, “Non si tratta di aggravare le misure, ma applicare con severità le misure che abbiamo. Un lockdown totale secondo me non serve, ma bastano lockdown chirurgici laddove se ne verifichi la necessità”.
Per Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, agitare lo spettro del lockdown ciclicamente è deleterio: “Abbiamo una situazione epidemiologica di stallo, in cui i numeri si stanno mantenendo costanti.
Questo può essere letto in modo positivo da una parte e negativo dall’altro, perché è partita anche la campagna vaccinale e fare le immunizzazioni mentre il virus circola aumenta la capacità delle varianti di resistere.
È quindi obbligatoria una cautela, ma ridiscutere oggi di fare o meno un lockdown nazionale non serve a nulla, come non serve minacciarlo. Il Paese ha fatto un scelta che è quella di convivere con il virus”. Continuerà a essere questa la strategia o con il governo Draghi cambierà? Lo sapremo tra pochi giorni . Palazzo Chigi, intanto, fa sapere che il neopremier ha condiviso la decisione di Speranza di bloccare in extremis la riapertura degli impianti da sci. Un segnale di continuità, in attesa dei prossimi provvedimenti