La psicoterapeuta: “Aiutiamoli con il gioco a far emergere la paura del Covid, ma proteggiamoli da notizie che non possono gestire”
I bambini
Luca, otto anni, il Covid è un enorme disco verde con la faccia molto arrabbiata; per Giada compagna di classe, un pallino piccolissimo con una corona in testa. Significa non lasciarli da soli davanti a notiziari tv o a siti Internet che parlino della pandemia in un linguaggio adulto. È importante mediare sempre le informazioni in modo da renderle comprensibili da una parte, ma anche tollerabili nel senso di renderle meno angoscianti “I bambini hanno frequentemente incubi in questo periodo in cui il coronavirus si presenta sotto forma di mostro, di ombra indefinita, di contagio incontrollabile.
Quali sono le cose più brutte per i bimbi?
Per Alessandro, 7 anni, bergamasco, la cosa più brutta del Coronavirus è non poter scambiare le figurine. Giulia, milanese di 5 anni, invece è felice perché da quando c’è il Covid ha passato più tempo a casa con la sua famiglia. Aurora, 5 anni, di Catania, non vede l’ora che tutto finisca per tornare a giocare al parco e andare a trovare gli zii. Alessandro, Giulia, Aurora sono tre dei 18 bambini di gran parte d’Italia, da Milano a Catania, da Firenze a Catanzaro, che raccontano, con parole e disegni, la loro idea di Covid. Troppo piccoli per comprendere cosa sta accadendo intorno a loro, ma già abbastanza grandi per fare i conti con le rinunce alla vita di prima e la paura che il virus tocchi i loro familiari. Emozioni e timori che molti hanno portato anche a scuola, dove educatrici e insegnanti si sono trovate spesso a fare i conti con bambini meno spensierati, in alcuni casi diventati in pochi mesi piccoli adulti.
La riapertura delle scuole
“A settembre, con la riapertura della scuola d’infanzia, e prima ancora in estate con i Cre ci siamo trovati a gestire le emozioni dei bambini rimasti in casa durante il lockdown” racconta Marta Locatelli, 40 anni, consulente pedagogica e coordinatrice della scuola d’infanzia Valsecchi di Bergamo, 140 alunni da zero a sei anni. “La nostra città ha abitato in maniera profonda le ferite della pandemia – aggiunge Locatelli -. Da febbraio a giugno, quando le scuole erano chiuse, attraverso laboratori e incontri su meet, abbiamo creato una linea di connessione continuativa con i bambini. In estate abbiamo ritrovato molti nuclei familiari che avevano perso anziani, in diversi casi era venuta a mancare la figura tanto importante dei nonni.
Le risposte da dare ai piccoli
A settembre, alla ripresa dell’anno scolastico, avevamo timore di non riuscire a dare risposte adeguate, ma ancora una volta i piccoli ci hanno stupito. Nelle loro parole e nei loro gesti abbiamo visto subito una voglia immensa di fare comunità, sono tornati in classe con il desiderio di fare gruppo. I bambini ci hanno insegnato che siamo un pezzo della loro storia di vita e dobbiamo prendere coraggio e forza da loro. Molti hanno parenti lontani e il Covid ha accentuato le distanze. Noi servizi educativi diventiamo una spalla, siamo famiglia tra le famiglie”.