A trainare il ‘fashion renting’ è il business online: un mercato che nel 2023 varrà ben 1,9 miliardi di dollari.
Addio ad armadi che non si chiudono, ai vestiti inutilizzati e alle corse per le vie dello shopping in occasione dei saldi. La passione per lo shopping cambia volto e si chiama ‘fashion renting’. Arriva dall’America, spopola in Cina e nel Regno Unito e recentemente sta esplodendo anche in Italia. Come? Affidandosi al noleggio.
A trainare il fenomeno del ‘fashion renting’, è soprattutto il noleggio online dei capi d’abbigliamento: un mercato che nel 2023 varrà ben 1,9 miliardi di dollari. Avendo registrato una crescita media annua del 10,6% tra il 2017 e il 2023, con gli Usa a concentrare il 40% del valore.
Il fenomeno sta crescendo anche in Italia con realtà come DressYouCan, startup milanese che mette a disposizione una sorta di grande armadio ‘delle amiche’.
Il noleggio ha un costo di circa il 10-15% del prezzo della vendita. Quindi, ciò, consente di indossare sempre qualcosa di nuovo senza troppi sensi di colpa. Il target di DressYouCan è composto da donne di fascia medio-alta e il range di età varia, in media, dai 25-29 anni ai 45-49 anni.
“Con il fashion renting chiunque può realizzare il desiderio di indossare capi d’alta moda. Tutto ciò, affidandosi completamente alle competenze di esperte fashion renter” spiega Caterina Maestro, fondatrice di DressYouCan.
Pertanto, il noleggio di abbigliamento “rappresenta l’asso nella manica con la sua soluzione elegante e perfetta. Per chi sogna guardaroba infiniti senza sprechi e inquinamento, questa è una soluzione perfetta. L’idea della nostra startup è proprio l’esatto opposto della moda low cost. Infatti, punta sulla qualità e rende l’abbigliamento di classe alla portata di tutti con prezzi accessibili e con un sistema di noleggio online molto semplice”.
Il fashion ranting, dunque, permette di risparmiare, evita gli sprechi e riduce l’inquinamento senza rinunciare allo stile. Senza un cambio di rotta, infatti, il The Guardian avvisa che di qui al 2050 l’industria del tessile sarà responsabile di un quarto del consumo del carbon budget, causando un aumento della temperatura di ben 2°C. Parola chiave sostenibilità, che DressYouCan traduce anche in una maggiore attenzione nel delivery: le consegne vengono effettuate a Milano in collaborazione con TakeMyThing, un servizio di pony sharing eco friendly che permette di ridurre le emissioni di Co2.
In Italia oltre l’80% dei vestiti acquistati non vengono usati.
In Italia oltre l’80% dei vestiti acquistati non vengono mai usati. E’ quanto rivela uno studio condotto su venti paesi nel 2018 da Movinga, società tedesca di traslochi online. Una ricerca realizzata da Greenpeace Germania segnala invece che la produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 al 2014. Il consumatore medio acquista il 60% in più di capi ogni anno e la loro durata si è dimezzata rispetto a 15 anni fa, producendo montagne di rifiuti.
Una mole enorme di abiti ed accessori che hanno riempito dapprima gli armadi e, non troppo tempo dopo, le discariche, con un grave impatto sul sistema sociale ed ambientale. Dal 1960 al 2015, infatti, come fotografa il rapporto Italia 2020 di Eurispes, c’è stato un record di rifiuti tessili con un aumento stimato dell’811%.
Solo nel 2015, sono finiti in discarica 1.630 tonnellate di vestiti. Si stima che ogni persona, ogni anno, consumi 34 vestiti e ne butti 14 chili. Eppure ogni anno 62 milioni di tonnellate di vestiti escono dalle fabbriche (www.greenme.it). Negli ultimi quindici anni la durata dei capi di abbigliamento è diminuita del 36% e oggi i vestiti hanno una vita media inferiore ai 160 utilizzi.
Tradotto in impatto ambientale, questo genera ogni anno 16 milioni di tonnellate di rifiuti tessili nella sola Unione europea (El País). Per quanto riguarda l’Italia, l’Ispra ha fotografato la situazione al 2016, quando sono state raccolte complessivamente 133,3 kt di frazione tessile, con un incremento di circa il 3,3% rispetto al 2015, quando la raccolta era stata di 129 kt, e ancor più rispetto al 2012 (101,1 kt). Nel complesso, il 56% della raccolta di rifiuti tessili riguarda il Nord, il 26% il Sud e il 18% il Centro.