Con le cinquanta opere esposte del gergeese Mario Cesare, l’arte diventa protagonista al centro Giovanni Lilliu a Barumini.
Attraverso l’arte, Mario Cesare aveva raccontato la Sardegna agro pastorale. Con dipinti, sculture, poesie e uno sguardo sensibile, poetico.
Il Centro Giovanni Lilliu a Barumini accoglie 50 opere dell’eclettico artista di Gergei scomparso il 20 marzo del 2012. La mostra “Dalla tela dipinta alla forma scolpita” sarà inaugurata venerdì 5 marzo alle 16.30.
Curata dalla storica dell’arte Michela Buttu, in collaborazione con l’Associazione Mario Cesare, da tempo impegnata nella tutela e diffusione dei lavori dell’ artista, l’esposizione è un percorso attraverso dipinti, sculture, xilografie e disegni dove i temi dominanti sono scene di vita collettiva, paesaggi, ritratti. “Volti femminili, pastori colti in un momento di riposo, uomini in groppa a un asino o a un cavallo, donne che imbracciano un cesto o una brocca”, “la montagna e il mare, le vedute di paese, le distese della campagna, i cardi in fiore con il vento che con la sua forza ne agita le foglie”.
Per la prima volta saranno esposte nella mostra d’arte le sue poesie manoscritte
Non solo arte visiva.. “Una fonte imprescindibile per comprendere al meglio il senso più profondo del percorso di un artista che, con le sue opere, ha saputo raccontare non solo le forme ma soprattutto l’anima più intima, umile e remota della Sardegna”, ha osservato Michela Buttu.
Promossa dalla Fondazione Barumini sistema cultura presieduta da Emanuele Lilliu, si avvale della collaborazione dei Comuni di Barumini e Gergei e Coldiretti Sardegna. “Siamo contenti di collaborare con l’associazione Mario Cesare e offrire i nostri spazi per l’allestimento di questa preziosa esposizione.
La “personale” coincide con la riapertura dei nostri spazi al pubblico
Una doppia emozione: la “personale” coincide con la riapertura, dopo questo difficile periodo, dei nostri spazi al pubblico”, ha commentato Emanuele Lilliu. La produzione artistica di Mario Cesare abbraccia un arco di tempo che si estende dalla fine degli anni Sessanta alla prima metà degli Ottanta. “Artista autodidatta ha vissuto in simbiosi con il suo ambiente naturale e sociale – conclude Michela Buttu – e da questo microcosmo ha tratto linfa per il suo canto d’amore verso la sua terra”.