Crescita del contagio tra i ragazzi ed i più piccoli: come si riconoscono e gestiscono in famiglia i sintomi dei più piccoli?
L’aumento dei casi di contagio tra i ragazzi ed i più piccoli rende necessario interpretare i primi segnali. Come si riconoscono e gestiscono in famiglia i sintomi dei più piccoli? Repubblica lo chiede ad Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria.
Qual è l’aspetto che differenzia di più il paziente bambino da quello adulto, rispetto all’infezione da Sars-CoV-2?
“Finora, per fortuna, nei bambini le forme sono lievi oppure lievissime o senza sintomi. Tranne casi eccezionali, sono sempre non preoccupanti. Dei quasi 100 mila decessi per Covid, al momento solo 19 sono stati quelli di soggetti in età evolutiva. E in tutti questi 19 casi si trattava di soggetti con patologie importanti pregresse.
Quali sono i sintomi del Covid più comuni tra i bambini, e cosa fare quando un bambino ha i sintomi?
“Innanzitutto va fatta una distinzione tra bambini di prima e seconda infanzia, preadolescenti e adolescenti. L’aumento dei contagi è stato dimostrato soprattutto nella tarda adolescenza. Il sintomo che è più facilmente rilevabile è la febbre. Anche se va precisato che non tutte le febbri sono manifestazioni di infezione da Sars-CoV-2. E poi ci sono dei disturbi collegati a un malessere generale, come quello che si ha nell’influenza, quindi con dolori muscolari, ossei, mal di testa, talvolta anche dei disturbi gastrointestinali. Per fortuna, nell’età evolutiva le forme di Covid sono prevalentemente lievi o di scarsa importanza”.
Come possono i genitori capire se il bambino ha il Covid, l’influenza stagionale o un’altra infezione virale?
“Ad oggi il contagio avviene soprattutto all’interno delle mure domestiche. Ciò che può fare la differenza, per la diagnosi del pediatra, è la storia clinica, ovvero informarsi se in famiglia, se tra le persone frequentate, c’è qualcuno che aveva dei sintomi del Covid. Se un bambino ha febbre per 2-3 giorni è giusto fare un’indagine diagnostica o per confermare che si tratti di infezione da Sars-Cov-2. Ma se lo si fa in prima o seconda giornata le possibilità di una risposta positiva sono minori. Se invece si aspetta qualche giorno, soprattutto se il bambino sta bene, abbiamo maggiori certezze di trovare una positività al test”.
In questi 2-3 giorni di attesa, i pediatri cosa consigliano di fare?
“Fare in modo che il bambino stia a casa, che venga ben idratato, quindi che beva, e che mangi frutta e verdura. E poi prenda i prodotti che si usano per contenere la febbre – quando la temperatura supera i 38,5 gradi – o i farmaci per alleviare il fastidio e il dolore in generale. Quindi, a seconda dei sintomi, il paracetamolo o l’ibuprofene”.
In quali casi è necessario il ricovero?
“Nei bambini solitamente non compaiono sintomi respiratori tali da richiedere il controllo dell’ossigeno nel sangue tramite saturimetro. Diverso è il discorso nel caso di adolescenti che magari mostrano sintomi respiratori. Se un bambino ha una polmonite importante, quella è un’indicazione della necessità di un ricovero”.
E come riconoscere invece le infezioni virali o batteriche che a scuola si diffondono abbastanza in fretta?
“Quest’anno c’è stata una pressoché assenza dell’influenza, e anche gli altri virus respiratori hanno circolato molto meno. Proprio per tutte le misure cautelative che sono state adottate, come il distanziamento e l’uso della mascherina. Una diagnosi in termini clinici in base ai sintomi o alla visita, senza tampone, potrebbe non essere precisa. Quello che conta molto è il contesto: se c’è un ragionevole sospetto che il bambino possa essere stato contagiato da un familiare o da qualcuno che ha frequentato, è bene avvisare il medico curante”.
Se il bambino risulta positivo al tampone, mentre i genitori non lo sono, come lo si cura in casa evitando il contagio?
“Finora è accaduto raramente che il bambino fosse positivo e i genitori no. Quello che c’è da fare in casa è adottare delle misure di contenimento. Quindi arieggiare spesso gli ambienti, tenere la mascherina, lavarsi frequentemente le mani e cercare nei limiti del possibile di confinare il bambino.
Dopo quanto tempo il bambino può tornare alla vita di prima?
“Valgono le stesse regole degli adulti. Dopo 10 giorni, se il tampone è negativo, il bambino può tornare a una vita normale. Altrimenti dopo 14 giorni”.