“ANCORA un lockdown, non vedo vie d’uscita da questa situazione”. A un anno di distanza dalle prime chiusure parte dell’Italia è di nuovo in zona rossa. La speranza di una normalità più vicina grazie al vaccino, dopo la sospensione di AstraZeneca, lo stop e adesso la ripartenza della campagna, comunque rallenta. Si allontana nei nostri pensieri il momento in cui saremo tutti immunizzati. Emergono ansia, incertezze. La paura del contagio, l’impossibilità di avere una vita sociale e l’incertezza fanno aumentare i disturbi di ansia e i casi di depressione. Non ce la facciamo più perché da troppi mesi affrontiamo una situazione difficile che ha rivoluzionato le nostre vite. Già nei lunghi mesi di restrizioni che ci siamo lasciati alle spalle gli esperti hanno parlato di un’esplosione di sintomi depressivi legati alla pandemia.
Un problema che non accenna a fermarsi. “Disturbi psichiatrici e depressioni aumenteranno, per forza di cose. Scarsità di contatti, costrizione segregativa, assolutamente necessaria, sia chiaro, lunga durata del regime restrittivo, angosce economiche, coabitazioni forzate senza alternanza dei ritmi di assenza/presenza, sensazioni complessive di impotenza e di mancanza di prospettive e l’elenco potrebbe continuare”, spiega lo psicoanalista Stefano Bolognini, già presidente della Società italiana psicoanalitica (Spi).
Cosa è cambiato rispetto al primo lockdown?
“Se nel primo lockdown la paura del contagio era generalizzata e straniante, in un’atmosfera fantascientifica, in questo secondo anno prevalgono proprio i vissuti di impotenza, di incertezza del futuro e di relativa affidabilità delle autorità politiche e civili: non per disistima di esse, ma per l’evidenza innegabile della complessità del problema”.
Sono aumentati gli attacchi di panico?
“Secondo me sono aumentati gli stati di ansia acuta di ordine claustrofobico. La gente si sente in trappola, non solo e non tanto perché deve materialmente stare in casa, bensì perché deve stare in una situazione che non può evitare e da cui non può fuggire”.
Spesso sono disturbi che Covid ha solo amplificato o fatto emergere prima.
“Sì, sono disturbi che covavano comunque sotto la cenere, ma che prima erano compensati dalla possibilità di evadere e dall’illusione di essere “incondizionabili” in assoluto: quella che io chiamo la sindrome del “non mi avrete!”. Molte di queste configurazioni psico-emotive impediscono ad alcune persone di accettare una permanenza in contenitori la cui apertura non può essere decisa da loro, ad esempio aerei, treni, pullman. Il lockdown frustra queste fantasie di autodeterminazione”.
Quali sono i disturbi più frequenti oggi?
“Le manifestazioni di ansia acuta, o, in forma diversa, gli stati depressivi, assai minori l’anno scorso”.
Come aiutare i pazienti e far accettare alle persone di dover rimanere a casa?
“Le due cose che, a quanto vedo, calmano un po’ angosce e tristezze in questo periodo sono i pensieri riguardo al vaccino,anche se negli ultimi giorni c’è stato un crollo drammatico di fiducia dopo la vicenda Astrazeneca, e i riferimenti storici alle grandi epidemie che avevano una durata media molto lunga, circa due anni, ma poi finivano. Questi riferimenti inducono un certo sollievo e una certa speranza, pur indicando paradossalmente termini temporali dannatamente lunghi, perché comunque offrono una prospettiva di salvezza: meglio due anni che l’eternità. Sto parlando, naturalmente, delle reazioni psicologiche, non di quelle logiche”.
Covid può far emergere il malessere all’interno delle famiglie. Come cercare di gestire i conflitti?
“Non ci sono ricette. E’ importante però che nessuno scarichi istericamente sui famigliari il proprio malessere interno, prendendosela con gli altri che sono in casa, specie con i genitori: la turbolenza evacuativa del tipo “Piove – governo ladro!”, appioppata a chiunque si aggiri nell’appartamento, in questo frangente dovrebbe essere trattenuta ed evitata. Siamo tutti sulla stessa barca. Ricordarsi sempre dei tre capponi legati per i piedi che Renzo Tramaglino portava all’Azzeccagarbugli: si beccavano e si massacravano tra loro come se l’altro fosse il colpevole della loro impotenza e così peggioravano la loro situazione”.
Parlare con i propri cari può essere utile? Cosa fare se si vive soli?
“Fare rete con amici e parenti è senz’altro una cosa buona. “Mal comune mezzo gaudio”. Oggi sono in vena di proverbi e saggezza popolare. Il fatto di non essere dimenticati ma di poter anzi scambiare sensazioni e idee è comunque una gran medicina; la più semplice, e spesso l’unica possibile. Mai chiudersi al mondo”.
Molti sono preoccupati per i vaccini. Non vedono una via d’uscita. Cosa fare per tranquillizzarli?
“Fare vaccini”.
Cosa abbiamo sbagliato nel primo lockdown?
“Abbiamo essenzialmente sbagliato a dipingerci una irrealistica brevità del processo pandemico/immunitario. Ora sappiamo che l’idea ottimistica di cavarcela in qualche mese ci esponeva a delusioni e frustrazioni pesanti. Prepararsi a tempi lunghi aiuta a trovare tutto meno sconvolgente, anche se di fatto rattrista”.
Quali sono i consigli per le famiglie?
“Organizzare la vita famigliare in modo vivibile, non sospendendo interessi ma pilotandoli verso le modalità possibili nel periodo. Inoltre può essere anche un tempo per pensare e fare progetti per il dopo, avendo cura di prepararne di realistici”.