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DPCM, autocertificazioni e obbligo di verità

In questi giorni sta rimbalzando, soprattutto online, la notizia che mentire nelle autocertificazioni non costituirebbe reato.

Al fine di evitare la diffusione di notizie poco chiare e che legittimano un comportamento scorretto e potenzialmente dannoso; si ritiene opportuno fare alcune dovute e necessarie precisazioni sul DPCM.

Siamo, infatti, innanzi a un comportamento che va disincentivato e non incentivato!

Siamo certi che la falsità non porterà ad una condanna?

Sulla falsità nelle autocertificazioni non esiste un orientamento unico, anzi c’è un profondo contrasto che porta alla conseguenza, paradossale ma che si verifica sovente nei Tribunali; che due persone che hanno tenuto il medesimo comportamento, seppure giudicate nello stesso luogo ma da Giudici diversi, abbiano sentenze contrastanti. Una persona potrebbe essere assolta e l’altra condannata.

E’ quindi sbagliato e falso credere che mentendo nelle dichiarazioni contenute nelle autocertificazioni non si subiranno conseguenze.

Cosa dicono i DPCM?

Dovrebbe essere circostanza nota (il condizionale è d’obbligo) che la violazione delle norme contenute nei vari DPCM; che sono ancora in vigore sebbene parzialmente modificati dai provvedimenti successivi, comporta il rischio di essere sanzionati amministrativamente oppure di vedersi contestato un reato.

Le sanzioni amministrative

Quelle che vengono elevate per il mancato uso della mascherina, per la violazione del divieto di assembramento o di circolazione, possono variare dai € 400 ai € 1.000, ed in entrambi i casi, se si paga entro 5 giorni da quando è stata elevata, si potrà usufruire di uno sconto del 30%.  Per tale ragione spesso si sente dire che la multa è pari ad € 280!

I reati

Mentre le sanzioni amministrative non hanno creato scalpore, le conseguenze penali legate alla violazione dei DPCM hanno generato un vero e proprio dibattito.

In alcuni casi la violazione del DPCM non si traduce in una semplice sanzione amministrativa ma nella contestazione del reato previsto dall’art. 483 cp ovvero falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico.

Cosa prevede la norma?

“Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile, la reclusione non può essere inferiore a tre mesi.”

Vista così sembrerebbe che non ci sia scampo, che il reato venga commesso ogni volta che si propone all’Autorità una giustificazione falsa.

La domanda è naturale: se la norma è chiara perché c’è contrasto giurisprudenziale? Perché alcuni giudici assolvono?

Per alcuni Giudici non è possibile procedere alla condanna perché “Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge e perché un tale obbligo sarebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo”.

Verrebbe da pensare, quindi, che i DPCM non sono una Legge ma sarebbe un pensiero errato.

Semplicemente nei DPCM manca una norma specifica sull’obbligo di dire la verità nelle autocertificazioni dell’emergenza sanitaria e una legge che preveda l’obbligo di fare autocertificazione in questi casi.

Per taluni Giudici, infatti, i DPCM sono dei semplici atti regolamentari e per tale ragione non avrebbero la “forza” normativa per costringere qualcuno a non uscire di casa.

Cosa fare?

La cosa migliore, indipendentemente da come si vogliono interpretare i DPCM o dal valore giuridico che si vuole riconoscere agli stessi, è di rispettarli, di evitare uscite inutili per una semplice questione di tutela della salute.

La cosa migliore è evitare il rischio perché NON è vero che non verrà contestato il reato o che sicuramente si verrà assolti (ed in questo caso comunque andrebbero sostenute le spese legali e del giudizio).

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