Dall’orticaria all’eritema (simile a quello del morbillo). Fino alla vasculite. Sono diversi i possibili segni della malattia da coronavirus rilevabili sulla pelle
I sintomi
Non soltanto tosse, febbre, bronchite o polmonite. L’infezione da Sars-CoV-2, al di là dei sintomi classici, può essere la causa anche di manifestazioni a livello cutaneo. Segni che difficilmente siamo portati ad associare alla Covid-19, la malattia provocata dal coronavirus. Ma che invece possono esserne una diretta conseguenza: con manifestazioni variabili anche in base ai diversi stadi della malattia. Soltanto un’ipotesi, fino a pochi mesi fa, adesso confermata da uno studio italiano pubblicato sul Journal of the American Academy of Dermatology. Sei le possibili «spie» della malattia rilevabili sulla superficie del nostro corpo.
Se Covid-19 si scopre attraverso la pelle
Si tratta dell’orticaria, di un’eruzione simile a quella che si rileva nel morbillo, di una reazione pressoché analoga a quella rilevabile nei casi di varicella, della comparsa di lesioni accostabili ai geloni, di una ecchimosi da trauma (livedo reticularis) caratterizzata dalla presenza di sangue sotto la cute e di una vasculite, con la possibile comparsa di ulcere sugli arti inferiori. Queste le manifestazioni che gli specialisti hanno registrato osservato 200 pazientiche, nella prima ondata della pandemia, sono stati curati in 21 ospedali sparsi lungo la Penisola. Registrando anche altri parametri (età, sesso, presenza di altre malattie, momento e durata dei segni cutanei) e andando a incrociare le informazioni relative all’infezione con la comparsa dei sintomi (tutti i pazienti osservati erano risultati positivi al tampone molecolare) sullo strato più esterno del corpo, i dermatologi sono giunti alla conclusione che i rilievi sulla pelle erano una diretta conseguenza della malattia.
Quali i meccanismi alla base del danno cutaneo?
Lo studio non svela quali meccanismi determinerebbero una manifestazione della malattia a livello cutaneo. Ma su questo aspetto i ricercatori lavoreranno nei prossimi mesi. «Il nostro lavoro non si esaurisce qui – conclude Marzano, che a febbraio fu tra i primi camici bianchi a contagiarsi -. Stiamo scrivendo un progetto che verrà inviato al Ministero della Ricerca. L’obiettivo è contribuire a una sempre più approfondita conoscenza della malattia per far sì che la comunità scientifica possa sconfiggerla nel più breve tempo possibile».