La sclerosi multipla fa ancora paura, ma sicuramente meno di un tempo. Questo grazie alle diverse possibilità terapeutiche che consentono nella maggioranza dei casi di evitare ai pazienti le conseguenze più serie in termini di invalidità.
La sclerosi multipla colpisce il sistema nervoso centrale causando una vasta gamma di sintomi, tra i quali disturbi cognitivi, visivi e del linguaggio. Per questo motivo è una malattia neurodegenerativa che fa ancora paura. Ma, per fortuna, le nuove e diverse possibilità terapeutiche consentono nella maggioranza dei casi di evitare ai pazienti le conseguenze più serie in termini di invalidità.
“Soltanto negli ultimi anni abbiamo visto entrare nella pratica clinica tanti nuovi farmaci che hanno rappresentato una vera rivoluzione per questa patologia che vent’anni fa veniva trattata con molte meno opzioni terapeutiche“. Questo è ciò che afferma Luigi Lavorgna, neurologo presso il Centro Sclerosi Multipla di Napoli. Si tratta di un’intervista pubblicata sul sito di Alleati per la Salute (link), il nuovo portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis. Lavorgna sottolinea l’importanza delle nuove terapie con le quali viene gestita questa patologia cronica, complessa e imprevedibile. Essa interessa circa 2,5-3 milioni di persone nel mondo, di cui 600mila in Europa e circa 122mila in Italia. Questo secondo i dati dell’Associazione italiana sclerosi multipla (Aism).
Terapie di nuova generazione
Il punto di svolta nella storia della patologia, secondo Lavorgna, risale all’avvento delle “prime terapie di nuova generazione“. Insieme a molti altri principi attivi orali e infusivi, esse consentono di controllare molto efficacemente la progressione di questa malattia.
“Oggi la terapia è sempre più personalizzabile“, spiega Lavorgna. Per cui “l’obiettivo è quello di individuare il farmaco più indicato per ciascun paziente e per la specifica fase di malattia in cui si trova“. Certo esiste ancora una fetta minoritaria di pazienti refrattari alle terapie, ma le prospettive fanno ben sperare.
L’importanza della telemedicina
In questo scenario, un altro punto di svolta è quello rappresentato dalla pandemia da Covid-19. Come in altre specialità mediche, la necessità di proseguire l’attività clinica in un contesto di distanziamento sociale ha portato a un’accelerazione della digitalizzazione. E quindi ad un sempre maggiore coinvolgimento della telemedicina.
“Dopo l’iniziale e inevitabile sgomento, l’uso di strumenti digitali si è dimostrato efficace e ha dato risultati confortanti“, racconta Lavorgna ripensando ai primi mesi dell’emergenza sanitaria. Fare telemedicina in neurologia, nonostante le difficoltà, non è impossibile. “Il 60% dell’esame obiettivo può avvenire da remoto, in webcam, pur con le dovute accortezze. A parte l’evocazione dei riflessi, alcune prove legate alla sensibilità e i test vestibolari, una visita neurologica può essere svolta a distanza“.
Un aiuto per i più giovani
Sia da un punto di vista scientifico che della pratica clinica quotidiana, l’impulso a telemedicina e digitalizzazione del patient journey sta dando risultati molto incoraggianti. “Sempre più medici e pazienti si mostrano soddisfatti di queste innovazioni – evidenzia Lavorgna – Pensiamo ai più giovani, in particolare. Essi nello smartphone hanno la loro vita. Per loro poter gestire dal cellulare anche la salute, tramite videoconsulti o App dedicate, è solo un vantaggio“. Sicuramente vivere l’ospedale da remoto li fa sentire meno malati. Ciò è fondamentale per una patologia che, come la sclerosi multipla, insorge in età giovanile, in particolare tra i 20 e i 40 anni.
Si tratta di vincere le resistenze culturali
“In Italia contiamo su un sistema sanitario nazionale che, nonostante tutto, è eccellente. Peraltro, i centri specializzati nella diagnosi e terapia della sclerosi multipla sono diffusi in modo capillare su tutto il territorio“, prosegue Lavorgna.
Per l’esperto, “di fronte agli ottimi risultati di queste prime esperienze di telemedicina, ci si aspetta di poter proseguire su questa strada” (anche nel post-pandemia). “Si tratta solo di vincere alcune resistenze culturali che permangono in una ristretta parte del mondo medico e, forse, anche nella politica“, conclude.
Per leggere l’intervento di Lavorgna cliccare qui.