Grazie all’aiuto dello zar Alessandro I, 200 anni fa i greci riuscirono ad ottenere l’indipendenza dall’Impero Ottomano. La rivoluzione greca ebbe inizio nel 1821 e fu organizzata dalla Filikì Eterìa.
“Eleftheria i thanatos”, libertà o morte. Con questo motto la rivoluzione greca ebbe inizio, il 22 febbraio 1821. Erano passati 368 anni dalla capitolazione di Costantinopoli e dall’eroico sacrificio di Costantino XI e dei suoi uomini. Paradossalmente fu proprio contro il governo di Konstantiniyye che i greci dovettero combattere.
La ribellione fu sostenuta e organizzata dalla Filikì Eterìa (Società degli Amici) che venne creata nel 1814 a Odessa, nell’Impero russo. Essa godeva dell’appoggio dello stesso zar russo Alessandro I che in più occasioni la finanziò. Tra febbraio e marzo del 1821 la rivolta divampò in moltissime regioni della Grecia, ma il suo fulcro fu nel Peloponneso. L’arcivescovo di Patrasso, Germanos, benedisse i combattenti e la bandiera. Anche Alì Pascià di Telepeni si aggiunse all’insurrezione, decretando la secessione dell’Epiro dall’Impero ottomano. I “kleftes” (patrioti briganti greci che vivevano in montagna) e gli “armatoli” (romeni cristiani reclutati dalle autorità ottomane che si unirono in seguito alla causa greca) guidati dal generale Theodoros Kolokotronis andarono ad ampliare gli effettivi della rivolta.
L’obiettivo della Filikì Eterìa
La Filikì Eterìa non si limitò all’organizzazione della rivolta greca, ma essa fu la base di partenza per l’eroica discesa di Alexander Ypsilantis in Moldavia e Valacchia a capo del Battaglione Sacro. Si trattava di un’operazione mirata a far sollevare le popolazioni romene di religione cristiana contro i turchi. La risposta ottomana si ebbe nel 1822 ed essa fu caratterizzata da un’estrema violenza e repressione. Ad aprile dello stesso anno, i turchi si macchiarono dello sterminio degli abitanti greci dell’isola di Chio e del Massacro di Costantinopoli. Durante quest’ultimo il sultano Mahmud II fece arrestare e impiccare il patriarca ecumenico Gregorio V, che divenne un martire.
La situazione si sbloccò a favore dei turchi grazie all’intervento del pascià albanese d’Egitto Mehmet Alì che sbarcò nel Peloponneso riconquistando Navarino e Atene nel 1825. In seguito mise sotto assedio la roccaforte ribelle di Missolungi che capitolò un anno dopo. La situazione sembrava disperata per i rivoltosi greci, ma fu in questo momento che le potenze europee scesero in campo. Nel 1828 Russia, Francia e Inghilterra annientarono la flotta turca a largo di Navarino e le truppe francesi sbarcarono nel Peloponneso in aiuto alle stremate forze elleniche. Il trattato di Adrianopoli del 1829 il protocollo di Londra del 1830 riconobbero ufficialmente e internazionalmente lo stato greco. Venne ridotto al solo Peloponneso, Attica e Isole Cicladi. Dopo una brevissima parentesi repubblicana con a capo Giovanni Capodistria, che venne assassinato nel 1831, le potenze occidentali poterono insediare Otto di Baviera come Re degli Elleni.
Lo scenario attuale
Oggi, dopo 200 anni, la Grecia vanta il pieno controllo del mar Egeo e di quasi tutte le regioni occidentali storicamente ritenute greche (la questione dell’Epiro del Sud ancora provoca attriti tra Tirana e Atene, così come la questione macedone). I greci d’Anatolia invece ebbero un triste destino. Dopo la guerra greco-turca (1919-1922) e la rovinosa sconfitta greca con il conseguente trattato di Losanna del 1923, Grecia e Turchia effettuarono un vero e proprio scambio di popolazioni.
I greci d’Anatolia abbandonarono in massa le coste egee e pontiche che abitavano sin dall’età classica. I più irriducibili intrapresero invece la strada dell’emigrazione dopo il Pogrom d’Istanbul del 1955. Nel Pogrom gli ultimi 100.000 greci di Costantinopoli, ma anche armeni ed ebrei, furono vittime di stupri, saccheggi, omicidi, circoncisioni forzate e furti da parte della popolazione turca, il tutto orchestrato dal Primo ministro Menderes.