Una nutrizione adeguata può fare la differenza tra la vita e la morte per i malati di Covid-19. Questo è quanto emerge da uno studio condotto nella prima ondata su 222 pazienti del San Matteo di Pavia e del policlinico di Milano.
Era già stato accertato in precedenza che un’alimentazione corretta potesse giocare un ruolo nel ridurre la possibilità di contagio da Covid-19. Così come è risaputo che il giusto apporto di vitamina D può contribuire al miglioramento della risposta immunitaria era già accertato. Quello che ora emerge è che una nutrizione adeguata può fare la differenza tra la vita e la morte tra i ricoverati in terapia intensiva.
Lo studio
Ci basiamo su uno studio condotto durante la prima ondata su 222 pazienti tra Policlinico San Matteo di Pavia e Policlinico di Milano. Tale studio dimostra infatti che “un adeguato supporto nutrizionale nei primi 4 giorni di ricovero può ridurre il numero dei decessi“. Il lavoro, pubblicato su ‘Clinical Nutrition‘ viene presentato dai due Irccs lombardi come “il primo di questo genere nei pazienti Covid nella letteratura internazionale“. L’obiettivo degli autori dello studio era di verificare la relazione tra l’apporto nutrizionale e l’outcome clinico. Ciò prendendo in considerazione anche fattori diversi, come ad esempio l’obesità.
La ricerca ha coinvolto malati di Covid-19 ricoverati nelle terapie intensive dei due centri ospedalieri, tutti in assistenza respiratoria. Gli studiosi hanno osservato che “chi ha potuto ricevere entro i primi 4 giorni di ricovero un supporto nutrizionale, principalmente per via enterale, adeguato ai fabbisogni calorici stimati, ha evidenziato una minore mortalità“. I risultati hanno inoltre confermato che “l’obesità moderata è associata a un più alto rischio di mortalità; mentre quella grave sembra comportare anche un significativo ritardo nello svezzamento dalla ventilazione artificiale invasiva“.
I ricercatori raccomandano, quindi, di adottare una terapia nutrizionale ad hoc per i pazienti affetti da Covid-19. Essi sono sottoposti a ventilazione meccanica invasiva, e la terapia deve essere il più possibile in linea con le raccomandazioni delle società scientifiche internazionali. Ciò risulta essere un elemento di fondamentale importanza per la riduzione della mortalità e il miglioramento dei risultati clinici.
“Garantire un adeguato supporto nutrizionale ai pazienti in terapia intensiva è, ancor oggi, spesso problematico”. Questo a “causa della severità delle condizioni cliniche e metaboliche dei pazienti ricoverati, a maggior ragione in una patologia complessa come il Covid-19“. Così afferma Riccardo Caccialanza, direttore dell’Unità operativa complessa di Nutrizione clinica del San Matteo.