In Italia ogni anno si registrano circa 41mila nuove diagnosi di tumore polmonare, l’immunoterapia ha però rivoluzionato il trattamento dei tumori.
In Italia ogni anno si registrano circa 41mila nuove diagnosi di tumore polmonare. Negli ultimi anni l’immunoterapia ha però rivoluzionato il trattamento dei tumori, raggiungendo sorprendenti risultati clinici, anche nelle neoplasie polmonari. La buona notizia è che una discreta percentuale di tutti i soggetti con tumore al polmone, con una prognosi infausta, rispondono all’immunoterapia con inibitori di PD-1/PD-L1 e diventano lungo sopravviventi. Purtroppo, però, una parte non trascurabile di pazienti non beneficia di tale trattamento.
“Da alcuni anni – afferma l’oncologo, Maugeri-Saccà – per la cura di tali tumori abbiamo a disposizione una nuova e importante arma terapeutica, ovvero l’immunoterapia. Si tratta dei cosiddetti anticorpi monoclonali che hanno l’obiettivo di stimolare il nostro sistema immunitario contro la malattia”.
Nonostante gli ottimi risultati in termini di efficacia clinica, purtroppo non tutti i pazienti traggono giovamento da questo trattamento. “Il nostro studio – prosegue l’oncologo – ha identificato un sottogruppo di pazienti che non hanno beneficio con l’immunoterapia, da ricondursi alla presenza nel tumore di uno specifico repertorio mutazionale. Questo si traduce in una progressione di malattia più rapida e in una minore sopravvivenza rispetto ai pazienti che non presentano specifiche mutazioni. Stiamo parlando del 10-15% di tutti i soggetti con adenocarcinoma polmonare, la neoplasia polmonare più frequente”.
L’identificazione a priori dei pazienti cosiddetti non-rispondenti
L’identificazione a priori dei pazienti cosiddetti non-rispondenti, secondo l’esperto, può permettere da un lato di evitare di sottoporli inutilmente a una terapia per loro inefficace e con effetti collaterali talvolta pericolosi, dall’altro di studiare i meccanismi di resistenza nel tentativo di sviluppare nuovi approcci farmacologici.
“Conoscere l’assetto mutazionale dei tumori prima di iniziare i trattamenti oncologici – sottolinea Maugeri-Saccà – è fondamentale: ci permette di sapere se il tumore è sensibile a un farmaco piuttosto che a un altro, ci fornisce informazioni sulla biologia del tumore e sull’andamento clinico atteso.
Sebbene si tratti di una scoperta ritenuta “rivoluzionaria”, al momento l’identificazione a priori dei soggetti non-rispondenti non è pratica clinica. “Queste analisi genomiche – conferma Maugeri-Saccà – necessitano di strumentazioni tecniche e di capitale umano che non tutti i centri italiani hanno a disposizione. Questo tipo di scoperte é frutto di un mix di fattori – conclude l’oncologo – Due su tutti: la collaborazione con altri enti.