Il nuovo spettacolo di Emma Dante per la Stagione 2020-2021 de La Grande Prosa di CeDAC/Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.
Andrà in scena dal 25 al 30 maggio al Teatro Massimo di Cagliari, tutti i giorni alle 20.30, tranne la domenica alle 19. Poi sarà il 31 maggio e 1 giugno alle 20.30 al Teatro Comunale di Sassari, per un struggente ritratto di famiglia in un “inferno”. “Misericordia” <<racconta la fragilità delle donne, la loro disperata e sconfinata solitudine>> rivela la regista siciliana. E’ una delle artiste più amate e apprezzate del panorama italiano per riuscire ad affrontare temi scottanti trasfigurandoli attraverso la bellezza, fondendo etica e estetica.
Sotto i riflettori Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi e Simone Zambelli. Sono i protagonisti di un’emblematica narrazione, che si disvela in un crescendo. Si crea un affresco della società dal punto di vista di figure ai margini, cruciali e indimenticabili, stranianti eroine ed eroi di un mondo rovesciato.
Lo spettacolo racconta una storia di miseria e degrado, la quotidiana guerra per la sopravvivenza di tre donne, intente a lavorare a maglia, per poi la notte concedersi a sconosciuti e passanti. Nello squallore del piccolo monovano abita con loro un curioso ragazzo, una creatura sfortunata, su cui si riversa l’affetto di quelle madri adottive.
Ogni sera Arturo va alla finestra per vedere passare la banda e sogna di suonare la grancassa. La madre di Arturo si chiamava Lucia, era secca e teneva sempre accesa una radiolina. La casa era china ’i musica e Lucia abballava p’i masculi!
Soprattutto per un falegname che si presentava a casa tutti i giovedì. L’uomo possedeva una segheria, guadagnava bene ma andava in giro con un berretto di lana e i guanti bucati. Lo chiamavano “Geppetto”. Alzava le mani. Dalle legnate del padre nasce Arturo, mentre Lucia muore due ore dopo averlo dato alla luce. Nonostante l’inferno di un degrado terribile, Anna, Nuzza e Bettina se lo crescono come se fosse figlio loro. Arturo, il pezzo di legno, accudito da tre madri, diventa bambino.
“Misericordia” è un’opera visionaria, in cui quella strana infanzia e l’innocenza del fanciullo orfano per femminicidio s’intrecciano alla routine delle prostitute, in fondo un modo come un altro, forse non il più disonesto, di guadagnarsi il pane con quello che viene definito “il mestiere più antico del mondo”. Una realtà capovolta dove la normalità è mettere in vendita quel poco o quasi nulla che si possiede, come faceva la madre di quel bambino che ormai è l’unica traccia vivente di lei. Lo spettacolo mette l’accento proprio sul quel microcosmo trascurato e dimenticato, ne riscopre la molteplicità di sfaccettature, grazie alla generosità di chi pur privo di tutto, divide con i più fragili almeno il calore di un abbraccio, di un sorriso, di una carezza.
La creatura abbandonata è figlia della violenza e dell’abuso, perché la prostituzione resta l’ultima forma di schiavitù socialmente tollerata, in quella terra di frontiera in cui il piacere e il vizio si accompagnano al gusto della trasgressione, in una totale mancanza di empatia, ma anche trova ristoro quel bisogno d’amore inascoltato. Arturo ha trovato casa e famiglia tra le “colleghe” di quella sua madre sventurata, solidali e unite in una sorta di sorellanza. Ma infine quel legame così forte si spezza perché le tre “madri” compiono per lui il più grande atto d’amore: restituirgli la libertà.
“Misericordia” ha una trama apparentemente semplice ma densa di sottintesi, fatta di gesti, di azioni, a volte minimi, amplificati al ritmo di una danza che restituisce il senso dell’esistenza, lo scorrere inesorabile dei giorni, il peso dei ricordi e la fatale rivelazione della verità.