Uccelli e tartarughe marini intrappolati nelle mascherine che buttiamo via, il consumo di prodotti imballati, ecco la minaccia del pianeta.
L’inquinamento delle mascherine
In acqua, le mascherine tendono a galleggiare, ma ne esistono di più pesanti, che affondano o restano sospese a tutte le profondità. Sono stati già osservati pesci, tartarughe, mammiferi marini e uccelli che le hanno ingerite intere o sono rimasti vittime degli elastici. La mascherina, inoltre, dopo poche settimane di permanenza nell’ambiente si frammenta in microfibre, che possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche tossiche e microrganismi patogeni.
Ciò che si è dimostrato necessario per la salvaguardia della nostra salute ha un caro prezzo per l’ambiente. Se la sfida per fermare l’inquinamento da plastica non era facile prima del Covid, lo è ancora di meno ora. A lanciare l’allarme, a oltre un anno dall’inizio della pandemia, è il Wwf nel suo ultimo paper “La lotta al Covid frena quella all’inquinamento da plastica”.
Non solo mascherine
Il Covid spinge anche i consumi di plastica come effetto dei cambiamenti nelle abitudini di acquisto: se pre-pandemia si stimava intorno al 40-45% il consumo di prodotti confezionati rispetto allo sfuso, con la pandemia si è arrivati al 60%. Il 46% delle persone che prima prediligeva lo sfuso è tornata ad acquistare prodotti imballati.
Questo si spiega soprattutto con la cosiddetta ‘safe attitude’, cioè il ritenere più sicuri da contaminazioni i prodotti confezionati. I consumatori si sono trovati di fronte al dilemma tra sicurezza e ambiente, sebbene ad oggi non sia stato segnalato alcun caso di trasmissione del virus attraverso il consumo di alimenti. Esistono invece studi che dimostrano come il Sars-CoV-2 sopravviva più di tutti sulla plastica (7 giorni), sebbene non sia dimostrata la trasmissione dell’infezione da imballaggi contaminati.