Secondo uno studio basato sull’osservazione di 380 pazienti, presso l’Azienda ospedaliero-universitaria di Careggi, le alterazioni dei livelli di sodio nel sangue possono fornire indicazioni sul rischio di mortalità da Covid-19.
Le alterazioni dei livelli di sodio possono fornire utili indicazioni rispetto alle possibilità di superare Covid-19. Questo è il risultato di uno studio basato sull’osservazione di 380 pazienti, assistiti presso l’Azienda ospedaliero-universitaria fiorentina di Careggi. Lo spiega il professor Alessandro Peri, autore dello studio pubblicato sull’European Journal of Endocrinology‘; e responsabile dell’Unità dedicata alle patologie ipotalamo-ipofisarie e alterazioni del sodio della Sod complessa di endocrinologia di Careggi.
I parametri delle concentrazioni sieriche del sodio
“Le concentrazioni sieriche del sodio – sottolinea Peri – sono, fisiologicamente, racchiuse in un intervallo compreso tra 135 e 145 milliequivalenti per litro. Vari studi hanno evidenziato che, in diverse patologie, il rischio di mortalità aumenta quanto più ci si discosta da questi valori di riferimento. Nello studio pubblicato, le ridotte concentrazioni di sodio nel sangue (iponatremia) sono emerse nel 22,9% dei pazienti al momento del ricovero. Questa condizione è diventata indice di complessità dell’infezione Covid-19. Le concentrazioni di sodio nel sangue correlano in modo diretto con i parametri di funzione respiratoria e in modo inverso con i livelli della citochina pro-infiammatoria IL-6 coinvolta nel danno al tessuto polmonare”.
La correlazione tra l’iponatremia e il maggior rischio di morte
“L’iponatremia – precisa Peri – è risultata un fattore di rischio indipendente per il ricorso a sistemi di respirazione assistita e quindi al trasferimento dei pazienti in terapia intensiva. Di notevole rilevanza è stata l’associazione tra l’iponatremia e il maggior rischio di morte, fino a 2,7 volte in più rispetto ai pazienti con valori di sodio nella norma. Dati come questi – conclude – segnalano come un parametro rapidamente ottenibile può essere un indicatore precoce di gravità nei pazienti affetti da Covid-19. Dunque può essere di rilevante utilità clinica per identificare i soggetti a maggior rischio di progressione della malattia”.