Il computer di bordo che ha portato i tre astronauti dell’Apollo 11 lassù: si chiamava Agc, Apollo Guidance Computer, era installato sui moduli di comando sui moduli lunari delle missioni Apollo. Controllava gli apparati di bordo in tempo reale e svolgeva tutti i calcoli di rotta che non potevano essere svolti da Terra
Se ti occupi di innovazione e vuoi inventare una cosa formidabile, non farlo il 20 luglio perché il 20 luglio sarà sempre e comunque ricordato come il giorno del primo allunaggio. Io di quel giorno conservo tanti giornali dell’epoca di tutto il mondo: Stanotte Luna, c’era scritto a caratteri cubitali sul quotidiano della mia città. Difficile trovare aneddoti non ancora sentiti su quella storica impresa.
Controllava gli apparati di bordo in tempo reale e svolgeva tutti i calcoli di rotta che non potevano essere svolti da Terra. Sull’Apollo 11 ce n’erano due, uno per la navicella, l’altro per il modulo lunare, questi funzionavano correttamente per le 195 ore della missione.
Furono realizzati dalla Nasa con il Mit e l’azienda Raytheon; ognuno pesava “appena” 32 kg e utilizzava i primi circuiti integrati ancora sperimentali. Il software per farlo funzionare era stato completato due giorni prima del decollo, il 14 luglio, da un team del Mit guidato da una donna, Margaret Hamilton, oggi 84 enne, che per questo lavoro in seguito ricevette le massime onorificenze.
Aneddoto
Il secondo aneddoto è relativo a come i giornali raccontarono l’impresa. Sempre il quotidiano della mia città il giorno dopo fece una prima pagina bellissima con scritto solo LUNA, con dei caratteri così grandi che in tipografia non c’erano e dovettero inventarsi dei trucchi per ingrandire la scritta.
Sotto c’era l’impronta di un piede sulla sabbia, lo storico “grande passo per l’umanità” di Neil Armstrong. Una prima pagina spettacolare che è pure finita in qualche museo del design. Eppure falsa. Quella foto non era la foto dell’impronta del primo uomo sulla Luna, ma di un giornalista del quotidiano che il direttore aveva spedito a Ostia con il compito di calpestare la sabbia con degli stivali da pescatore e fotografare l’impronta. Una fake news, anzi, una fake photo, ma inoffensiva.