A livello del plesso coroideo si aprono nuovi scenari sul meccanismo che blocca l’ingresso nel cervello di segnali infiammatori originati nell’intestino
Un team di ricercatrici di Humanitas ha condotto uno studio sul plesso coroideo. Il team, coordinato da Maria Rescigno, docente di Patologia Generale di Humanitas University, ha pubblicato i risultati che aprono nuovi scenari nella conoscenza di una delle barriere fra circolo sanguigno e cervello. Lo studio è firmato anche da Sara Carloni, microbiologa di Humanitas University, Michela Matteoli, docente di Farmacologia di Humanitas University e Simona Lodato, capo del Laboratorio di Neurosviluppo di Humanitas.
Le ricercatrici, un team tutto al femminile
“A livello del plesso coroideo abbiamo documentato il meccanismo che blocca l’ingresso nel cervello di segnali infiammatori originati nell’intestino, -afferma Maria Rescigno-, a tale fenomeno è associato un isolamento del cervello dal resto dell’organismo. Il cervello è responsabile di alterazioni comportamentali. Tra queste l’insorgenza di stati di ansia. Conseguenza che ci spiega, perchè tali condizioni del sistema nervoso centrale sono parte della malattia”.
Il plesso coroideo è una struttura cerebrale che consente l’ingresso di sostanze nutritive e cellule immunitarie nel cervello. “La ricerca dimostra che tale struttura si chiude di fronte al pericolo di una forte infiammazione intestinale. Chiusura che si manifesta per impedire il propagarsi dell’infiammazione al cervello – descrive Sara Carloni-, con conseguente sviluppo di depressione”.
“La scoperta che una barriera vascolare del plesso coroideo si riorganizzi e si chiuda per bloccare l’ingresso di sostanze tossiche prodotte in seguito a una patologia intestinale è di grande interesse, specifica Simona Lodato“. “Ora abbiamo le prove che la comunicazione intestino-cervello è alla base di una corretta attività cerebrale. Infatti questo fenomeno apre importanti domande su tante altre patologie, in primis su quelle neurodegenerative, conclude Michela Matteoli“. Il team è arrivato a questa conclusione dopo aver osservato le pareti vascolari delle membrane intestinale e cerebrale.