Tartufo, la commedia dolceamara sulla innegabile fragilità umana in cui Molière si scaglia contro l’ipocrisia, in scena al Teatro Massimo.
L’ambiguo fascino della virtù nel “Tartufo” nell’Isola per un vivido e spietato affresco di varia umanità; la celebre commedia di Molière (al secolo Jean-Baptiste Poquelin) sarà in cartellone in cartellone da mercoledì 10 novembre alle 20.30; fino a domenica 14 novembre per la Stagione 2021-2022 de La Grande Prosa al Teatro Massimo di Cagliari.
Sotto i riflettori Giuseppe Cederna nel ruolo dell’inquietante protagonista, un pericoloso seduttore; quasi un “profeta anticonformista” o meglio un “guru fanatico” che come un “angelo oscuro” o un “demone pietoso” irrompe nella casa di un ricco borghese; stravolgendone i fragili equilibri e «con la sua radicalità scatena tutti i desideri e le furie»; accanto a Vanessa Gravina, che interpreta l’enigmatica Elmira e Roberto Valerio – che firma anche la regia – nei panni di Orgone, prima vittima dell’inganno; quasi folgorato dalle rivelazioni di quel maestro nell’arte della finzione divenuto il simbolo dell’ipocrisia.
Nel cast (in ordine alfabetico) anche Massimo Grigò (Cleante, cognato di Orgone, ma anche il cameriere Lorenzo), Irene Pagano (Marianna, la figlia di Orgone); Elisabetta Piccolomini (Madama Pernella, madre di Orgone e anch’essa come il padrone di casa ammaliata dal perfido ingannatore); Roberta Rosignoli (la cameriera Dorina) e Luca Tanganelli.
Lo spettacolo
La pièce – nell’interessante mise en scène dell’Associazione Teatrale Pistoiese / Centro di Produzione Teatrale – tocca un tema cruciale nell’odierna civiltà dell’apparire; mettendo l’accento sul contrasto tra le alte qualità morali ostentate pubblicamente dall’ospite e i suoi reali intenti; sottolineando la dissonanza tra l’imperturbabilità di una maschera e l’intreccio di ambizione, avidità e lussuria che si celano dietro quell’immagine di perfezione esteriore. Una vicenda emblematica proiettata in pieno Novecento; tra perbenismo e materialismo, con le evocative scenografie di Giorgio Gori e i variopinti costumi di Lucia Mariani; in un crescendo drammatico dove la farsa si volge (quasi) in tragedia; sottolineato dal disegno luci di Emiliano Pona e dalla attenta regia del suono di Alessandro Saviozzi, rivela ancor oggi la sua sorprendente attualità.
“Tartufo” (nell’originale “Tartuffe ou l’Imposteur”) è un vertiginoso viaggio nei labirinti della mente, tra l’ingenuità incomprensibile e quasi paradossale di Orgone; un uomo perbene ma vulnerabile all’adulazione e la malizia dell’estraneo che egli ha accolto, velenoso e infido come una serpe in seno; portatore di profonde e illuminanti verità e sostenitore di saldi e rigidi principi (cui si guarda bene dall’attenersi in privato); un abile mestatore che stravolge la quiete domestica fin quasi a provocare una catastrofe. Molière rappresenta un microcosmo in cui la figura di Orgone – il pater familias che detiene; o meglio dovrebbe detenere il potere insieme alla responsabilità di provvedere alle necessità di quanti siano soggetti alla sua auctoritas; si mostra in tutta la sua vulnerabilità: ammaliato, egli si lascia fatalmente guidare dall’individuo senz’altro stravagante e eccessivo; incarnazione ai suoi occhi di una più alta spiritualità e di una visione superiore dell’esistenza, emblema di purezza e nobiltà di spirito.
La trama
Il fustigatore di costumi (altrui) si rivelerà essere un mistificatore; non prima però di aver minato i rapporti e i legami, insinuando più di un dubbio sulla saggezza e la lungimiranza di un padre e marito. Orgone è come “ipnotizzato” dal misterioso “carisma” di quel moralista così rivoluzionario dietro la cui facciata si nasconde un parassita; le cui reali aspirazioni son state ben comprese dalla servitù e dai familiari, cui il seduttore ha mostrato il suo vero volto. Nella sua posizione di capofamiglia spesso trascurato o messo in discussione dai figli; innamorato ma in certo qual modo anche succubo della moglie; quel bravo borghese intravede forse nella filosofia di vita suggerita dall’ospite una possibilità di riscatto e affermazione di sé. Fin troppo facile preda dell’illusione; Orgone riflette «la fragilità di un cuore catturato per la prima volta», insieme al «potere comico di un’anima contraddittoria»; nella sua coscienza della sua marginalità ridotta al compito di soddisfare i bisogni più immediati e concreti; sembra quasi voler punire quella implicita rivolta imponendo agli altri quel “ribelle” dalla personalità luciferina.
“Tartufo” è una commedia dolceamara sulla innegabile fragilità umana in cui Molière si scaglia contro l’ipocrisia; tanto da suscitare aspre reazioni e tentativi di censura, ma che risulta per la precisa delineazione dei caratteri e il raffinato meccanismo teatrale, tra pathos e colpi di scena; assolutamente godibile e “credibile” pur nei toni grotteschi anche in un’attenta rilettura in chiave (quasi) contemporanea – in cui l’amoralità del protagonista si conferma ancora una volta – in ogni epoca – in tutta la sua sulfurea potenza, al di là del bene e del male.