Nel report Germanwatch, il nostro Paese va male su rinnovabili e politiche climatiche. Ma di promossi a pieni voti non ce ne sono e il podio della graduatoria resta, anche quest’anno, vuoto
L’Italia fa un passo indietro nell’impegno sul clima. Meglio di tutti fanno i Paesi scandinavi ma, anche quest’anno, di promossi a pieni voti non ce ne sono. Nei giorni della Cop26 arriva l’annuale report di Germanwatch sulle performance climatiche di 60 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali. In questa classifica, l’Italia scivola di tre posizioni arrivando al 30esimo posto. La colpa risiede nel rallentamento dello sviluppo delle rinnovabili (34esimo posto della classifica specifica) e dell’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) che consente un taglio delle emissioni entro il 2030 di appena il 37% rispetto al 1990.
Le prime tre posizioni della classifica non sono state attribuite. Infatti nessuno dei Paesi ha raggiunto la performance necessaria per fronteggiare l’emergenza climatica e contenere il surriscaldamento del pianeta entro la soglia critica di 1.5°C. Di campioni climatici non ce ne sono e il podio resta per l’ennesima volta pericolosamente vuoto. Ai primi posti troviamo i Paesi scandinavi che guidano la corsa verso zero emissioni. Danimarca, Svezia e Norvegia si posizionano dal quarto al sesto posto, grazie soprattutto al loro grande impegno per lo sviluppo delle rinnovabili. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Arabia Saudita, Canada, Australia e Russia.
Cina principale responsabile delle emissioni globali, secondi gli Stati Uniti
La Cina, che è il maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola di quattro posizioni al 37esimo posto. Nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le sue emissioni continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del suo sistema produttivo. Ancora più indietro si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale, che troviamo al 55esimo posto. Un passo in avanti di sei pozioni rispetto allo scorso anno, grazie alla nuova politica climatica ed energetica avviata dall’Amministrazione Biden e che però deve iniziare ancora a dare i suoi primi risultati.
Tra gli altri Paesi del G20, solo Regno Unito, India, Germania e Francia si posizionano nella parte alta della classifica. L’Unione Europea scivola di sei posizioni al 22esimo posto, soprattutto per la pessima performance di Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia, che si posizionano in fondo alla classifica.
Il rapporto prende in considerazione la performance climatica di 60 Paesi, più l’Unione Europea nel suo complesso, che insieme rappresentano il 92% delle emissioni globali. La performance è misurata, attraverso il Climate Change Performance Index (Ccpi), prendendo come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030. Il Ccpi si basa per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo sia delle rinnovabili che dell’efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.
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