La protagonista di questa storia è una donna. E’ una psicologa in attesa di un paziente. Prima era una curatrice d’arte, poi decise di seguire un’ispirazione più personale. Era mossa dal bisogno e dal desiderio di cambiare; per se stessa e, forse, anche per suo marito.
C’è questa donna che parla, parla tanto. Non si capisce se parla da sola o se c’è qualcuno che la sta ascoltando.
E fin qui, nulla di nuovo.Questa donna parla del suo divorzio, cercando di uscirne fuori tra aneddoti comici, tragicomici o soltanto tragici della sua vita coniugale.
Ed anche su questo, direte voi, niente di particolarmente rilevante.Si interroga se c’è una differenza tra amore e dipendenza.
Se tutte le abitudini che abbiamo in un rapporto ci facciano bene, cerca di capire da quando il paesaggio amore e diventato il paesaggio divorzio. Se possibile ridendoci su. Se possibile.
(Non sempre è possibile, ma è bene provarci)Poi si interroga sui figli, la maternità, gli ormoni.
Ed anche qui, direte voi…Ma tutto questo però accade mentre sta facendo un esperimento, dal vivo, mentre parla.
Un esperimento il cui risultato è importante, perché riguarda tutti noi.A prescindere che si sia sposati o meno.
Perché si, anche se non ti sposi, ti tocca uguale.
Monica Nappo interpreta questo monologo, di cui è autrice, acuto e intelligente, ricco di ironia. Anche se parla di una fine non è nulla di triste: c’è sicuramente un po’ di malinconia, ma quello che conta maggiormente è lo scorrere e l’alternarsi di pensieri, ricordi e considerazioni fino ad una presa di coscienza magari dolorosa, ma necessaria. Monica Nappo dimostra una bella scrittura e una capacità di analisi e di racconto semplici, ma efficaci e il suo modo di raccontare e interpretare è spontaneo e diretto, riflessivo, ma anche partecipativo.