Sono molti i passatempi che accompagnano le persone nelle loro giornate. Si spazia dai film e serie tv, passando per le scommesse sportive come su 123scommesse, fino ad arrivare ai videogiochi. Quest’ultimi sono decenni che sono presenti nelle case degli utenti e nel corso di questo tempo hanno attraversato una grande evoluzione, permettendo al videogiocatore di immergersi completamente nell’esperienza ludica. Infatti sono tante le console e gli accessori che ci permettono di arricchire l’esperienza, tra cui la possibilità di giocare online con i propri amici che ha permesso ai più giovani di restare in contatto nonostante la pandemia da Covid-19.
I videogiochi sono all’interno di un acceso dibattito, con la Cina che ha imposto regole severe nel loro utilizzo. Sotto accusa la dipendenza che crea nei più giovani.
Addirittura l’esperienza in Cina di Fortnite è finita: gli utenti del popolare videogame online sviluppato da Epic Games hanno confermato l’inaccessibilità al server. Per i fan di videogame del Dragone si è trattato di un’altra brutta notizia, parte della repressione che le autorità nazionali hanno lanciato contro il settore, con i funzionari di Pechino che a fine agosto avviarono la campagna contro la dipendenza degli adolescenti.
In queste ore, inoltre, si è tenuta un’indagine statistica che ha rivelato come più del 7% dei ragazzi gioca ai videogiochi per più di 8 ore al giorno. Tra questi, la maggior parte hanno un’età compresa tra i 22 e i 25 anni. Dai dati diffusi possiamo notare come più di un terzo del campione (circa il 36%) giochi tra un’ora e le tre ore al giorno e circa il 16% passi davanti allo schermo tra le 3 e le 5 ore.
A rivelarlo “Gaming”, il sondaggio condotto dall’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, GAP, cyberbullismo) in collaborazione con il portale Skuola.net, che ha analizzato un campione di 1.271 ragazzi di età compresa tra i 10 e i 25 anni. Il report completo sarà presentato nel corso della Quinta Giornata Nazionale Di.Te., “Non è solo un gioco”, che si terrà il 27 novembre a Mestre.
Gli aspetti dei videogiochi
I videogiochi sono una realtà molto consolidata e certamente non vanno presi sottogamba. Questi sono diventati con il tempo una valvola di sfogo e veri e propri regolatori dell’umore, come dichiarato da chi ha preso parte al sondaggio. Non a caso il 34,6% li usa per uscire dalla noia, il 33,6% per acquisire competenze, e l’11,2% per creare una realtà parallela, il 20,6% per conoscere nuove persone. “Come tutti gli strumenti tecnologici, si possono trovare degli aspetti buoni e cattivi.
Molto sta nell’intento e nella consapevolezza con cui li utilizziamo”, osserva Giuseppe Lavenia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Associazione Di.Te. Il dottore prosegue: “I videogiochi sono anche un modo per sperimentare parti di sé”, ma aggiunge “che il 7% del campione ci passi più di 8 ore è un dato che deve farci riflettere. Il fatto che vi impieghino tutte quelle ore può anche voler dire che cerchino di autoisolarsi per non vivere appieno la socialità, preferendo quella mediata dal videogame per costruirsi un’immagine più simile a quella che vorrebbero”.
Una riflessione molto importante quella dello psicologo Lavenia che mette in allarme tutti noi sul perché si sceglie di giocare ai videogiochi. La possibilità di costruire al proprio interno il mondo che vorremmo ci fa estraniare dalla nostra vera realtà, portandoci alla totale esclusione dalla società.
Parla Daniele Grassucci, co-founder di Skuola.net
Al sondaggio ha collaborato anche Sckuola.net. A tal proposito ha lasciato delle dichiarazioni importanti il co-founder Daniele Grassucci: “Poco meno di un giovane su 10 passa ogni settimana almeno 24 ore, un intero giorno, a giocare ai videogiochi: un dato che ci dà un’idea di come il metaverso non sia una visione futura ma una realtà concreta per molti dei nostri ragazzi e ragazze. Perché a differenza di quanto pensi la maggioranza, la passione per il gaming non è solo maschile, anzi. I cortili dei condomini si svuotano e si riempiono invece i server per il gioco online: per 1 giovane su 4 è consuetudine darsi appuntamento con la propria comitiva di gaming per giocare insieme. Ma si sta affermando anche un nuovo passatempo: quasi 1 giovane su 3 passa più di 6 ore a settimana a guardare gli altri, quelli bravi, giocare”.
Gli investimenti in denaro
Certamente i videogiochi sono un investimento tutt’altro che gratuito. Chi decide di dedicarsi alle console, infatti, dovrà spendere costanti cifre di denaro per poter accaparrarsi i giochi desiderati. Inoltre nell’ultimo periodo va di moda comprare pacchetti aggiuntivi e altre caratteristiche per potenziare il proprio personaggio. Non è da sottovalutare, ma saper giocare bene diventa molto importante come elemento di affermazione sociale e, anche per questo, si sta diffondendo l’usanza di investire somme di denaro per acquistare elementi aggiuntivi all’interno delle piattaforme videoludiche.
“Circa 2 ragazzi su 3 lo hanno fatto almeno una volta, più di 1 su 10 lo fa spesso e volentieri”, continua Grassucci. Una spesa che, in alcuni casi, può diventare onerosa. “Il 60% dei videogiocatori ha sborsato, negli ultimi sei mesi, più di 50 euro in questo tipo di attività; oltre 1 su 3 ci ha messo come minimo 100 euro. E se pensiamo che la passione, il tempo e i soldi spesi nel mondo videoludico siano inversamente proporzionali con l’età, ci sbagliamo di grosso: più si cresce, più si gioca”, sottolinea Grassucci.
Che impatto hanno i videogiochi sulla vita reale?
Ultimo dato, ma no meno importante, è quello che riguarda l’impatto che hanno avuto i videogiochi sull’impegno e il rendimento scolastico dei più giovani. Come si evince dal sondaggio il 33,7% il tempo speso a giocare ha peggiorato l’interesse verso la scuola, per il 34,1% ha affievolito l’impegno nel proseguire il percorso formativo e per il 31,3% ha abbassato il rendimento scolastico. Se, infine, si chiede ai ragazzi quanto è importante per loro giocare bene e affermarsi nei videogiochi, più del 35% risponde che lo è “abbastanza”, il 15,5% dice “molto” e il 6% “moltissimo”. Il resto dei sondati lo ritiene “poco importante” (25,5%) o “per niente importante”; ancora una volta una minoranza (18%).