Ci troviamo di fronte a un’importante rivoluzione in ambito sanitario. Politici, medici e istituzioni non hanno dubbi: occorre individuare subito le criticità, per superarle e fare sempre meglio per salvaguardare la salute del cittadino.
Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) può essere una grande opportunità per le cure domiciliari e territoriali, ma occorra partire dall’ascolto dei territori. Nasce da questi presupporti il Talk Web “LA NUOVA GESTIONE DELLA MEDICINA TERRITORIALE NEL POST-COVID” promosso da Motore Sanità. Ha riunito professionisti sanitari, parlamentari e rappresentanti regionali per dare voce alle nuove proposte, e capire da quale punto partire per riformare la medicina territoriale.
“Già prima del Covid la nostra sanità aveva dei limiti: il ritardo nell’adeguare il nostro Servizio Sanitario Nazionale a un mutato contesto demografico ed epidemiologico sia dei professionisti sia dei cittadini; la mancata digitalizzazione della sanità; la crescita progressiva delle diseguaglianze nell’accesso ai Livelli essenziali di assistenza”, evidenzia l’On. Fabiola Bologna, Segretario XII Commissione Affari Sociali e Sanità Camera dei Deputati. “Siamo per lo più un Paese che invecchia e quindi “esplodono” le patologie croniche, si moltiplica la pressione sui servizi sociosanitari, quando la risposta non si trova sui territori rimbalza sugli ospedali, senza contare le grandi differenze regionali nell’organizzazione sanitaria.
Manca personale sanitario
A tutto questo manca personale sanitario. Per cui con il PNRR noi vogliamo cambiare strada e i nostri obiettivi sono: prossimità, innovazione, uguaglianza, interventi sulla rete territoriale che ammoderna tecnologicamente, messa in sicurezza degli ospedali, investimenti sulla formazione, investimenti sulla ricerca, trasferimento tecnologico. Le Case della Comunità rappresentano il cuore della nostra nuova rete territoriale e la riforma prevede che realizzazione di una Casa della Comunità hub ogni 40-40mila abitanti, con assistenza medica di 24 ore, 7 giorni su 7. Siamo insomma di fronte a un’importante rivoluzione in ambito sanitario e la mia domanda è: i medici di medicina generale sono pronti?”.
“La medicina generale sta chiedendo da 30anni una riorganizzazione del modello. Il problema è che questo modello è stato proposto rispetto alle strutture, non ai professionisti”, replica Gerardo Medea, Responsabile nazionale della ricerca SIMG. “Parliamo prima di funzioni, di compiti, di come possiamo aiutare con una migliore organizzazione la medicina generale. Se i COT (Centrale Operativa Territoriale), le cure di prossimità, gli specialisti, gli esami di primo livello fossero già stati organizzati all’interno di qualsivoglia struttura – come la Casa di Comunità – noi avremmo recuperato già da un pezzo il ritardo sulla gestione dei cronici”.
Un altro punto importante
Flavio Maria Roseto, Direttore Generale Asl Brindisi, Regione Puglia, solleva infine un altro punto importante: “In questo momento noi stiamo affrontando il problema dell’adeguamento alle previsioni del PNRR rispetto alla medicina territoriale e all’idea di prossimità. Operativamente siamo impegnati a individuare comuni e strutture idonee a poter offrire il servizio secondo la logica di prossimità. Alcune criticità però le andiamo già a supporre: il concetto dell’integrazione sociosanitaria che si vorrebbe implementare. Un primo ostacolo è che a fronte di un SSN regionale e nazionale gestito secondo una governance ben precisa, abbiamo molti sistemi sociali. Da un lato abbiamo una Asl e dall’altro i singoli comuni: difficile dare un servizio di pari livello su tutto il territorio”.