L’Italia è in ritardo rispetto ai target di raccolta fissati dell’Unione Europeo. Si tratta di un valore strategico del settore per tutti gli attori della filiera.
Da mesi ormai sentiamo parlare di carenza di materie prime e di prezzi alle stelle. I motivi sono diversi e complessi e solo parzialmente legati agli effetti della crisi del coronavirus. Questo dipende dalla complessità delle catene del valore mondiale agli accaparramenti a fini produttivi, alla speculazione.
La nostra redazione si è chiesta se l’economia circolare può essere parte della soluzione a questi problemi. Che la domanda abbia senso, e che una delle risposte alla crisi delle materie prime possa essere proprio l’economia circolare, lo conferma un paper (“Approvvigionamento delle materie prime strategiche: una questione di sicurezza nazionale”) presentato la scorsa estate da Erion, sistema multiconsortile per la gestione dei rifiuti elettronici. Secondo Erion, la costruzione di una filiera del riuso-riciclo garantirebbe al nostro Paese la disponibilità di circa 5.000 tonnellate l’anno di materie prime critiche. E un beneficio occupazionale di oltre 8.000 nuovi addetti.
L’importazione delle materie prime
Prima ancora che si palesasse la penuria di tanti materiali e prodotti, dai chip alla carta, Erion ricordava che l’industria italiana dipende fortemente dalle importazioni di materie prime. Una dipendenza stimata attorno al 90% che, anche in periodi non critici, sottomette le nostre imprese – siamo un Paese manifatturiero – al giogo della fluttuazione dei prezzi. La soluzione, spiega Erion, l’abbiamo in casa e si chiama “miniera urbana”.
La situazione si fa ancor più complessa quando si tratta di quelle che l’Europa ha definito materie prime critiche (CRM – Critical Raw Materials): “materie prime di grande importanza per l’economia dell’UE e ad alto rischio associato alla loro fornitura”. Soprattutto ora che le strategie europee di transizione ecologica ed energetica richiedono un aumento del fabbisogno di questi materiali rari e preziosi per farne pannelli solari, turbine eoliche, motori elettrici, celle a combustibile ed elettrolizzatori, batterie.
“Un modo intelligente per ridurre, almeno parzialmente, la dipendenza dell’Italia dalle complesse dinamiche dei mercati globali delle materie prime critiche ci sarebbe ed è la valorizzazione della nostra miniera urbana di rifiuti tecnologici”, leggiamo nel documento Erion. Che vuol dire puntare sull’economia circolare: sull’allungamento della vita utile dei prodotti tecnologici, per ridurre la richiesta di materie prime necessarie a sostituirli, e sul riciclo per assicurare l’approvvigionamento alle nostre industrie.
La gestione dei RAEE in Italia
La fonte “urbana” di questi materiali sono quelli che chiamiamo i RAEE: rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Ogni anno in Italia vengono venduti circa un milione di tonnellate di AEE (apparecchiature elettriche ed elettroniche), tra telefonini, pc, stampanti, grandi elettrodomestici, pannelli fotovoltaici. Apparecchiature che, una volta che decidiamo di disfarsene, diventano la categoria di rifiuti che cresce più velocemente nell’Ue.
Nel 2018 (ultimi dati Eurostat), il tasso medio di raccolta dei RAEE nell’Unione europea è stato del 47%. La quantità di AEE immesse sul mercato nell’UE è passata da 7,6 milioni di tonnellate nel 2011 a 8,7 milioni nel 2018: +14,1%. Nello stesso periodo, a livello europeo, il totale dei RAEE raccolti è salito da 3 a 4 milioni di tonnellate (+31%). Il totale dei RAEE trattati (riusati, riciclati, termovalorizzati) è cresciuto da 3,3 a 3,9 milioni di tonnellate (+19,5%). Quelli riciclati e preparati per il riutilizzo sono passati invece da 2,6 a 3,2 milioni di tonnellate (+26,2%).
In Italia sono 365 mila le tonnellate di RAEE raccolte in maniera differenziata. Si tratta di poco meno del 40%: 6,14 chilogrammi a testa secondo Erion (nel 2018 eravamo a 4,8, Eurostat). Nell’UE siamo in media a 7,13 kg per abitante. Molto lontani comunque dal 65% fissato dalle norme europee che vorrebbe dire circa 10 chilogrammi a testa.
Che fine fanno i RAEE raccolti?
“Oggi – leggiamo nel paper – alcune frazioni delle raccolte differenziate vengono esportate in altri Paesi europei per carenza sia dimensionale che tecnologica di impianti”.
Infatti “abbiamo veramente pochi impianti e poco significativi per recuperare terre rare e altri metalli di valore”, ci racconta Danilo Bonato, Direttore generale Erion Compliance Organization e membro del Comitato di alto livello materie prime della Commissione Europea. “Per farlo servono processi di trattamento di secondo livello (il primo livello è quello dei trattamenti meccanici, di frantumazione, ndr) processi chimici , possibilmente idrometallurgici. E in Italia non abbiamo questo tipo di tecnologia”.