foto che riescono a condensare la storia in un’immagine e il cui impatto rimane immutato con il passare dei decenni.
Sono già passati 50 anni da uno degli scatti più iconici mai realizzati, “Napalm girl” di Nick Ut, la foto della bimba vietnamita che fugge nuda dal suo villaggio appena bombardato con il napalm.
Per il cinquantenario dell’immagine simbolo della guerra in Vietnam, che l’anno dopo valse a Ut il premio Pulitzer, è stata organizzata una mostra a Palazzo Lombardia, sede della giunta regionale, con le immagini più famose scattate dal fotoreporter (“Nick Ut. From Hell to Hollywood”). Su tutte, ovviamente, campeggia la gigantografia di “Napalm girl”. La presentazione dell’evento è stata anche l’occasione per riunire il fotoreporter dell’Associated Press e Kim Phuc, la bimba protagonista della foto.
Una ricorrenza che cade proprio nei giorni in cui imperversa un’altra guerra che ha sconvolto l’opinione pubblica. “Dopo le mie foto in Vietnam – ha detto Ut – mi auguravo che le guerre finissero, invece continuano. Vedo le sofferenze della popolazione ucraina, tutti i giorni, ormai da tre mesi. E’ triste. Quest’anno sono stato molto impegnato, ma il mese prossimo potrei andare là”. Anche Phuc ha espresso il suo rammarico: “Quando guardo l’attuale situazione in Ucraina, il mio cuore si spezza: per tutte le persone che hanno perso la vita, specialmente i bambini. Bambini che non riescono a vivere la propria vita ma sognano un futuro migliore. Quello che sta succedendo adesso è esattamente quello che è successo a me”.
Ma come nasce quella foto?
Ut è un giovane fotoreporter vietnamita dell’Associated Press, che ha preso il posto del fratello maggiore (anche lui fotografo), ucciso durante la guerra. L’8 giugno 1972 ha una soffiata: un villaggio vicino, occupato dai viet cong, verrà bombardato con il napalm. Ut prende le sue macchine fotografiche e si mette a bordo del furgoncino. Sul posto ci sono anche altri fotografi. L’azione del bombardamento e della fuga dei civili è ampiamente documentata, ma solo la foto di Phuc entra nella storia.
“Ero sulla route 1 – ricorda Nick – sono stato lì quasi tre ore a documentare. Quando ho visto l’esplosione ho pensato che fossero tutti morti, ma poi dalla nuvola nera sono uscite centinaia di persone che scappavano dal bombardamento. C’erano persone che portavano in braccio corpi di bambini in fin di vita. Ho fatto una foto alla nonna di Kim, aveva in braccio un bambino di 3 anni, morto subito dopo”. All’improvviso “è apparsa Kim, correva senza vestiti, erano stati bruciati dal napalm. Mi sono avvicinato per fare delle foto, quando è passata oltre ho visto il braccio e la schiena bruciati”.
A quel punto, Ut smette di scattare, lascia le macchine fotografiche sulla strada e va verso di lei con due bottigliette d’acqua: “Pensavo di versarle sulle ferite, ma lei mi urla che vuole bere. Gli altri media stavano andando via, siamo rimasti ad aiutarla solo io e un collega della Bbc di Londra. Avevo un piccolo furgoncino, ho fatto salire tutti i bimbi, ho preso Kim in braccio e l’ho messa vicina agli altri. Lei diceva “sto morendo, sto morendo”. L’ospedale più vicino era a 20-30 minuti, ma era un piccolo presidio locale e dicevano di non avere abbastanza medicine”.
Ut allora gli ha mostrato il pass stampa, intimandogli di aiutarla perché altrimenti “l’indomani sarebbero finiti su tutti i media, visto che avrei pubblicato le foto”. Così “si sono preoccupati e l’hanno aiutata”. Nick è poi tornato sul furgoncino ed è andato all’Associated Press per “sviluppare le pellicole nella camera oscura. Il mio capo ha chiesto perché quella bimba non avesse i vestiti, gli ho spiegato del bombardamento con il napalm”.
-La storia di Phuc-
“La mia storia – ha invece detto Phuc – è iniziata con un bombardamento e una foto. Sono semplicemente una di quei milioni di bambini che hanno sofferto per la guerra. La differenza l’ha fatta il fotografo, Nick Ut. Ha testimoniato cos’era la guerra in Vietnam e ha lasciato le sue macchine fotografiche per portarmi in ospedale. Gli devo tutto”. Riprendersi da quelle ustioni è stato un processo molto lungo: “Ho passato 14 mesi in ospedale, poi sono tornata a casa. Nel corso degli anni ho subito 17 interventi, l’ultimo nel 1984 in Germania. La guarigione è stata molto lunga”.
Nella foto di Ut, aggiunge Phuc, “si vedono due ragazzi alla mia sinistra, sono i miei fratelli, uno più grande e uno più piccolo; mentre gli altri due bambini sono i miei cugini”. La prima volta che ha visto quella foto, una volta tornata a casa dall’ospedale, Phuc l’ha odiata: “Me l’ha mostrata il mio papà, l’aveva ritagliata da un giornale. Ho provato un po’ di imbarazzo, ero nuda e agonizzante. Ho odiato quella foto, non importava che fosse famosa non la volevo proprio vedere”. Poi, crescendo, la sua opinione è cambiata.