Secondo uno studio della Royal Society di fine 2020, in un anno un lavoratore attraverso l’utilizzo della posta elettronica emetterebbe 135 chili di anidride carbonica
Se Internet fosse una nazione sarebbe la quarta più inquinante al mondo. Dato che si può rilevare in base a uno studio della Royal Society riportato dal World Economic forum. Emerge che il digitale contribuirebbe alle emissioni mondiali di CO2 per una quota compresa tra l’1,4 per cento e il 5,9 per cento del totale.
Ricordiamo che la Rete produce emissioni di CO2 sia per le modalità poco efficienti di realizzare siti web e app, sia per i combustibili fossili che alimentano i data center. Il punto è che la transizione energetica non può non essere guidata dai dati. Infatti il settore tecnologico dovrebbe dare l’esempio e fornire i dati necessari per consentire il monitoraggio del consumo di energia e delle emissioni di carbonio. Inoltre le autorità di regolamentazione dovrebbero sviluppare linee guida sulla proporzionalità energetica delle applicazioni digitali.
In tutto questo deve essere considerato anche il valore in termini di inquinamento delle criptovalute. Secondo uno studio di Digiconomist, citato da The Guardian a fine 2021, una singola transazione bitcoin utilizza la stessa quantità di energia che consuma una famiglia americana media in un mese. Cosa che equivale a circa un milione di volte in più in emissioni di carbonio rispetto a una singola transazione con carta di credito. E a livello globale, l’impronta di carbonio del mining di bitcoin è maggiore di quella degli Emirati Arabi Uniti e scende appena al di sotto dei Paesi Bassi.
L’analisi di Karma Metrix ha estratto dal report i valori di energia consumata e di CO2 prodotta per ogni anno. Dai dati emerge che Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Google hanno emesso 98,7 milioni di tonnellate di anidride carbonica con un aumento aggregato delle emissioni totali del 17% dal 2018 al 2020.