Ti mangio il cuore: la recensione dell’esordio al cinema per Elodie

Una cornice rurale e in bianco e nero, cruda e intensa, segna l’sordio cinematografico da protagonista per Elodie in Ti mangio il cuore

Altopiano del Gargano, 1960, la famiglia Malatesta viene sterminata dalla famiglia Camporeale. Michele è l’unico sopravvissuto. Nel corso degli anni, Michele è riuscito a ottenere vendetta. Inizia così il racconto di Ti mangio il cuore.

Una pellicola la cui fotografia pradroneggia la scena e parla più dei personaggi. Dalle immagini dal potere intenso emergono i principi cardine del film. Un contesto religioso frainteso, plagiato ma radicato, la lotta per la sopravvivenza, illegalità e orgoglio, onore e vendetta. Codici sociali antichi agevolati dal fascino gangster.

Elodie nei panni di Marilena Camporeale e Francesco Patanè in quelli di Andrea Malatesta, portano alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, una storia d’amore proibito. Potrebbero essere i Giulietta e Romeo dei nostri tempi, spostando la vicenda nelle campagne foggiane. Un amore proibito, osteggiato dalle rispettive famiglie in lotta da generazioni. Le rivalità trovano soluzione solamente versando sangue sulle strade.

Quando infatti la relazione diventa di dominio pubblico, i due amanti (oltre che adulteri) sono costretti a fuggire. Michele quindi viene ucciso e per contrastare la relazione tra i giovani, i Malatesta oltre a nascondere Marilena e Andrea raccolgono le forze per ristabilire l’equilibrio di quella faida che sembrava essersi quietata. Equilibrio che, ovviamente, troverà pace solo versando altro sangue in una escalation di violenza e vittime, dove il sangue e i criminali acquisiscono un valore simbolico e una sacralità tale da sostituirsi alla fede religiosa.

“Le vacche della pace sono diventate le vacche della guerra”: forse la frase più significativa del film, pregna di significato culturale rurale ma anche simbolismo della mala foggiana. Indice di pace tra i clan e allo stesso tempo sancire l’inizio della resa dei conti.

Pippo Mezzapesa, porta sullo schermo il racconto di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, rendendo ogni scena intensa e facendo parlare ogni paesaggio più apertamente di quanto riescono gli interpreti, chiusi in dialoghi brevi e serrati, anche se intensi. Dialoghi non troppo frequenti e in buona parte in dialetto pugliese, dando perciò una forte connotazione geografica alla pellicola, con buona pace per coloro che non amano i sottotitoli. 

About Salvatore Uccheddu

Classe 1989. Appassionato cinefilo a 360°, degustatore di birre e di pizze. Amante dei bei film, ma anche di quelli brutti, davvero brutti. Si è cimentato come regista in lavori discutibile fattura. Irriducibile cacciatore di interviste agli addetti ai lavori della settima arte.

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