A Genoni in corso una residenza artistica della Compagnia Tedacà sullo spettacolo “Fine pena ora”. La pièce, organizzata da Il Crogiuolo, andrà in scena dal 15 al 17 settembre a Genoni, Villagrande Strisaili e Armungia.
Arriva in Sardegna la compagnia Tedacà per riallestire “Fine pena ora”, il suo nuovo spettacolo tratto dalla storia, vera e autobiografica, descritta nel libro omonimo (Sellerio, 2015) di Elvio Fassone, magistrato ed ex componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Nella residenza artistica curata dalla compagnia il crogiuolo, la compagnia di Torino è al lavoro a Genoni a Casa Zaru, un’abitazione dell’800 acquisita e ristrutturata dal Comune.
Giovedì, 15 settembre, nel paese del Sud Sardegna, all’ex Convento dei Frati Minori Osservanti alle 19, “Fine pena ora” va in scena, riallestito per spazi non convenzionali. In ottobre il debutto assoluto al 26° Festival delle Colline Torinesi, al Teatro Stabile di Torino, che ha coprodotto lo spettacolo con regia di Simone Schinocca.
L’indomani, venerdì 16 settembre, si replica a Villagrande Strisaili, alle 19 alla tomba dei giganti Sa Carceredda. Sabato, 17 settembre, alla stessa ora, terza e ultima tappa ad Armungia, in piazza Nassirya.
Sotto i riflettori Costanza Maria Frola, Giuseppe Nitti e Salvatore D’Onofrio.
Le dichiarazioni
“Dopo un primo progetto nel 2019 a Villa Verde, questa è la seconda residenza artistica della compagnia Tedacà in Sardegna in collaborazione con il Crogiuolo – spiega la direttrice artistica della compagnia cagliaritana Rita Atzeri – La residenza è concepita come possibilità di dialogo con i territori, come luogo di ricerca pure per gli artisti che vi prendono parte, come possibilità di sperimentare le diverse possibilità di un lavoro”.
“Fine pena ora – racconta Simone Schinocca – è un testo che parla di mondi diversi, opposti, che trovano un punto di incontro. Parla di possibilità, di libertà, di mare, amore, solitudine, smarrimento, muri e che, a tratti, possiede anche fili di ironia. Si fa portavoce di una domanda forte: se oggi ha ancora senso, per una società che si appella del titolo di civile, parlare di ergastolo”.
Il libro di Elvio Fassone
Il libro di Elvio Fassone racconta la storia vera di un’amicizia sviluppatasi con la corrispondenza fra un ergastolano e il giudice che l’ha condannato. Le vicende iniziano nel 1985 a Torino, dove si celebra un maxi processo alla mafia. il maxi processo dura quasi due anni. Tra i condannati all’ergastolo c’è Salvatore, considerato uno dei massimi esponenti del clan, nonostante la giovane età. Il presidente della Corte d’Assise è Elvio Fassone, colui che pronuncia la sentenza di condanna. Ma anche la stessa persona che permette al giovane processato di andare a trovare la madre, gravemente malata.
Quel piccolo gesto di empatia porta queste due vite a un dialogo che si approfondisce dopo la condanna, grazie alle lettere. Oltre che del libro, la drammaturgia del “Fine pena ora” messa in scena da Tedacà si avvale di un lavoro di interviste a Elvio Fassone. L’autore ha raccontato l’evoluzione della sua amicizia con Salvatore negli anni successivi la pubblicazione del libro.
Lo spettacolo, fine pena ora
Nella messa in scena di Schinocca, il pubblico viene proiettato nella cella di Salvatore (interpretato da Salvatore D’Onofrio). Ormai cinquantacinquenne ha già scontato oltre trent’anni della sua pena, e sente di non riuscire più a sostenere una vita in carcere senza possibilità di uscita. Il suo sonno è tormentato dagli incubi, i demoni di un uomo condannato all’ergastolo, nella cui scheda, di fianco al suo nome, compare la scritta fine pena: mai. Come si può placare una condanna del genere? Con delle lettere e con un’amicizia inaspettata.
Ed ecco che in uno dei suoi sogni compare il “Presidente”, con le fattezze del giovane uomo conosciuto all’inizio della sua esperienza carceraria. Quel magistrato che ha pronunciato la sentenza definitiva, ma che gli ha poi spedito in cella il libro “Siddartha”, di Herman Hesse. Il libro accompagnato da una lettera con una frase che lo invitava a non perdere la speranza.
In questa dimensione onirica, la comparsa del presidente all’interno della cella di Salvatore, innesca un flashback dove i protagonisti raccontano la loro storia. Quindi come si sono incontrati, quali sono state le vicende che hanno portato le loro vite a incrociarsi, come questa amicizia si sia sviluppata attraverso una corrispondenza lunga 34 anni.
La drammaturgia di Simone Schinocca ha reso il testo epistolare un dialogo a più voci, dove i personaggi possono finalmente guardarsi negli occhi. Mentre scrivono, mentre parlano dei loro pensieri. Una condizione che nella realtà Elvio Fassone e Salvatore non sono ancora riusciti a concretizzare. Non si sono più incontrati, dopo la carcerazione di quest’ultimo. Anche in questa dimensione, il loro incontro rimane però solamente verbale, due mondi distanti che si parlano ma non si toccano. E’ un incontro fondato sulla parola, elemento che per molti anni ha permesso all’ergastolano di sopravvivere alla condanna perenne. Come “ora d’aria” quotidiana capace di alleviare questa condanna, così anche le correzioni grammaticali del presidente, come i molti corsi di formazione, diventano per Salvatore un gioco che rompe la routine del carcere.
Nella cella di Salvatore compare anche la figura di Rosi, la sua giovane fidanzata, conosciuta durante l’adolescenza. La donna gli rimane accanto per vent’anni. Lo segue nei suoi trasferimenti in giro per l’Italia, dedica a quell’uomo tutta la sua giovinezza, fino alle soglie dei quarant’anni, quando sente l’esigenza di ricostruirsi una vita. Nella dimensione onirica della messa in scena, la ragazza da voce ai ricordi più ingenui di Salvatore. E’ anche il suo spirito guida, l’istinto che cerca di calmarlo nelle condizioni di maggiore sconforto. Questo anche solo grazie al pensiero di poter vedere, una volta ogni tanto, una donna su cui riversare l’amore.
Questa relazione, insieme all’inaspettata amicizia con il presidente, hanno permesso a Salvatore di sopravvivere all’ergastolo, difatti in scena tocca a Rosi il compito di sciogliere i nodi della gabbia di corde che intrappolano il protagonista, rappresentazione di un percorso di redenzione che non giustifica le colpe di un condannato, ma che potrebbe rendere possibile una nuova prospettiva di vita.