Una recente ricerca ha messo in luce come nel 2020 la produzione di Bitcoin abbia consumato più energia di quella di tutta l’Austria
Tra il 2016 e il 2021 l’estrazione di Bitcoin, la più popolare delle criptovalute, ha provocato danni ambientali di oltre 12 miliardi di dollari. Il loro uso è più inquinante dell’allevamento dei bovini e confrontabile con l’estrazione del petrolio. Ciò avviene secondo una recente analisi realizzata da un gruppo di ricercatori dell‘università del New Mexico (Stati Uniti). Lo studio è stato pubblicato su ‘Scientific Reports’.
Nonostante i Bitcoin siano una moneta puramente virtuale, il mercato di questa criptovaluta, la prima e ancora più importante, ha enormi costi ambientali. Questo è dovuto al fatto che per produrre nuovi Bitcoin, un meccanismo necessario per farne proliferare il mercato e senza il quale l’intero sistema imploderebbe, richiede l’uso di calcolatori impegnati a realizzare semplici ma lunghissimi calcoli, via via più difficili al crescere del numero di Bitcoin in circolazione.
La produzione della famosa crypto ha utilizzato a livello globale 75,4 Terawatt/ora di elettricità
Calcoli che richiedono molta energia, talmente tanta che nel 2020, si rileva nello studio, la produzione di Bitcoin ha utilizzato a livello globale 75,4 Terawatt (TWh) ora di elettricità. Ciò è più di quanto consumato in un anno in una nazione come l’Austria e un quarto dell’Italia.
Le emissioni di CO2 prodotte dalla loro estrazione sono salite nel tempo di 126 volte. Si è passato dalle 0,9 tonnellate per singolo Bitcoin del 2016 alle 113 del 2021. Nel complesso le emissioni prodotte tra il 2016 e il 2021 sarebbero equivalenti a danni stimati in oltre 12 miliardi di dollari. Mettendo in relazione le emissioni prodotte dai Bitcoin con il loro valore di mercato, i ricercatori hanno stimato che nel maggio 2020 i danni climatici prodotti dall’estrazione di un singolo Bitcoin ha addirittura superato del 50% il prezzo stesso della moneta.