Indagine Altroconsumo su sostenibilità tessuti, vincono i sintetici

Le migliori performance ambientali

I capi con tessuti sintetici sono i più sostenibili. È quanto emerge da uno studio di Altroconsumo che ha condotto un’indagine su 18 materiali tessili usati nell’industria dell’abbigliamento. Il campione è caratterizzato da capi di due tipologie, maglie e pantaloni. Una maglia in poliestere deve essere indossata 50 volte e una in elastan 31 volte in più per eguagliare le prestazioni ambientali di una in nylon riciclato. Inoltre, nell’analisi è stato ipotizzato che i capi venduti in Italia siano prodotti in Cina. Stimando che il consumatore utilizzi ciascun capo per quattro anni e che lo indossi 170 volte, lavandolo dopo tre usi. Tra i numerosi indicatori di impatto ambientale – spiega Altroconsumo – sono 5 quelli più importanti, in quanto insieme costituiscono il 70% degli impatti totali: l’incidenza sul riscaldamento globale, il grado di tossicità per l’uomo, il consumo di suolo, l’uso di risorse non rinnovabili e il consumo di acqua.

Il tessuto più sostenibile

Tra i tessuti, “il più sostenibile è il nylon, in particolare quello riciclato al 100%. Viene considerato come termine di paragone per calcolare quanto tempo e quante volte in più i capi ottenuti con altri materiali devono essere usati per ottenere lo stesso punteggio in sostenibilità. Anche tra le fibre sintetiche si notano differenze significative. Ad esempio, una maglia in poliestere deve essere indossata 50 volte e una in elastan 31 volte in più per eguagliare le prestazioni ambientali di una in nylon riciclato”.

Il materiale più impattante a livello ambientale

Continua l’associazione: “Sul versante diametralmente opposto al nylon riciclato troviamo la pelle naturale. Risulta il materiale con le maggiori ripercussioni per il pianeta. Il suo ciclo di vita ha forti ricadute su tutti e 5 i maggiori indicatori di impatto. Tant’è che rispetto al nylon riciclato deve essere usata per 23 anni e 9 mesi, e indossata oltre mille volte in più. La sostituzione della pelle naturale con quella sintetica è la strategia che consente di guadagnare più punti nella partita ambientale. La similpelle assorbe i costi ambientali con oltre 22 anni di anticipo rispetto alla pelle naturale”.

L’impatto degli altri materiali

Si rilevano “differenze sostanziali anche tra le fibre riciclate e le corrispondenti versioni convenzionali. Se il capo in nylon vergine deve essere usato 14 volte in più per eguagliare le prestazioni ambientali del nylon riciclato, tra poliestere vergine e quello riciclato questo range si amplia (25 volte). Inoltre, per quanto riguarda i tessuti naturali, nel confronto tra cotone e denim biologici e i corrispettivi convenzionali, i primi risultano molto più sostenibili. Al contrario, i tessuti convenzionali devono essere usati rispettivamente 74 e 67 volte in più rispetto ai loro corrispondenti biologici. Resta il fatto che i materiali naturali risultano fortemente penalizzati dalla Lca. Dopo la pelle, sono nell’ordine seta, lana, cotone, denim, canvas (un cotone più resistente), lino e canapa a infliggere all’ambiente i costi maggiori. Ma, come si vede dai dati, con differenze davvero notevoli tra una fibra e l’altra: se per raggiungere lo stesso livello di sostenibilità del nylon 100% riciclato la canapa e il lino richiedono circa 2 anni di utilizzi aggiuntivi, per il canvas si sale a 3 anni, per il cotone e il denim a 4, per la lana a 10 e per la seta addirittura a 16”.

Sostenibilità difficoltosa

“È noto che la composizione fibrosa dei capi in commercio il più delle volte non è pura – spiega Altroconsumo – ma composita: le fibre naturali e sintetiche sono mescolate nei modi e nelle percentuali più diverse, con varianti praticamente infinite. Questo rende le scelte dei consumatori (e le possibilità di riciclo) più complicate. In aggiunta, è necessario ricordare che, sebbene il preoccupante fenomeno del rilascio delle microplastiche da parte dei tessuti sintetici sia ormai stato appurato, la valutazione del ciclo di vita dei prodotti tessili non può ancora tenerne conto, dal momento che non esistono ancora gli strumenti necessari a rilevare misurazioni precise”.

La conoscenza come strumento, non come obbligo

“Ovviamente, i risultati del test non devono certo obbligare i consumatori ad acquistare capi in nylon e poliestere a discapito di quelli in lana, seta o cotone. La conoscenza delle differenze di impatto ambientale dei vari materiali deve farci tenere comportamenti più consapevoli e sostenibili. Per esempio, chi desidera un abito di seta è meglio che sia sicuro di ciò che sta acquistando (della qualità, della fantasia, della taglia…), perché dovrà prendersene cura e usarlo per molti anni, cioè il tempo necessario per ammortizzare il suo impatto ambientale“, chiarisce Altroconsumo.

About Sonia Mandras

Studentessa di Beni Culturali & Spettacolo, con la passione per il mondo dell'arte e gli argomenti di aspetto socio-culturale. Occasionalmente cantante e musicista. Spiccato senso critico, propensione creativa e mente umanista.

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