Nasce il primo database dei pesci ‘sentinella’ del cambiamento climatico nel Mar Mediterraneo.
Si chiama ClimateFish e certifica la presenza di 15 specie. La ricerca, pubblicata su Frontiers, è realizzata dal biologo marino Ernesto Azzurro dell’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del Cnr, in collaborazione con esperti del Centro Ricerche Enea di Santa Teresa (La Spezia) e di altri istituti internazionali.
Un gioco di squadra non solo tra istituti di ricerca, ma anche tra comunità locali, in particolare pescatori e centri di immersione. Sono 7 le specie autoctone selezionate dallo studio, per l’ampia distribuzione, la sensibilità alle condizioni di temperatura e per la facile identificazione come il pesce serra e il barracuda mediterraneo; otto, invece, sono quelle esotiche provenienti dal Mar Rosso dal pesce palla maculato al pesce flauto.
Mari sempre più caldi
“Grazie a un campionamento durato 13 anni sono censiti oltre 100 mila esemplari delle 15 specie target, in oltre 3 mila aree di sette Paesi del bacino del Mediterraneo – spiega Federica Pannacciulli, responsabile del Laboratorio Enea di Biodiversità e Servizi Ecosistemici – le più rappresentate sono le specie autoctone donzella pavonina e salpa. Al momento quelle esotiche sono concentrate nel settore orientale del Mediterraneo dove il fenomeno del riscaldamento è particolarmente accelerato, come l’area a sud di Creta (+1,65 °C); ma il loro numero è destinato a crescere nei prossimi anni per l’aumento della temperatura provocato dai cambiamenti climatici”.
Per conoscere i cambiamenti nell’ecologia marina del Mediterraneo, il team internazionale di ricercatori ha intervistato in 95 località di nove diversi Paesi europei oltre 500 pescatori, di età compresa tra i 28 e gli 87 anni, con più di 10 anni di esperienza individuale e oltre 15mila anni complessivi di osservazione del mare.
Con circa 700 specie ittiche e un tasso di riscaldamento circa 3 volte più veloce di quello dell’Oceano, il Mediterraneo è un hot-spot sia di biodiversità sia del cambiamento climatico. “Queste metodiche ci consentono di monitorare in modo semplice e coordinato alcuni effetti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi costieri del Mediterraneo”, conclude Ernesto Azzurro.