Libertà e Resistenza, le 4 Giornate sono il simbolo di un popolo che ha combattuto con coraggio per riprendersi la città
E’ il 1943. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio, il Gran Consiglio del Fascismo sfiducia Benito Mussolini. Non è ancora la fine del fascismo, ma quella del regime sì.
A Mussolini succede Pietro Badoglio, che già l’8 settembre firma un armistizio. Non è un armistizio qualsiasi, ma quello con cui l’Italia si arrende agli Alleati.
La sensazione, per un attimo, è che la guerra sia finalmente finita e lo si ripete nelle strade. Ma la guerra non è ancora finita, ce n’è un’altra da combattere: contro i tedeschi nazisti.
A Napoli la convivenza con i tedeschi è difficilissima. Dall’8 al 26 settembre si succedono una serie di scontri e rappresaglie. Poi, dal 27 al 30 settembre, in quattro giornate, la rivolta dei napoletani cambia le sorti della resistenza italiana e la storia del paese.
L’importanza della resistenza
Per capire il senso e l’importanza delle 4 giornate di Napoli bisogna, però, fare un passo indietro. Perché è necessario capire qual è il contento in cui matura l’insofferenza popolare.
Nel 1940, in Europa si combatte, la guerra è già scoppiata, ma in Italia no, sembra ancora molto lontana, un affare di altri. Il 2 giugno – futura festa della Repubblica – a Napoli si sente una sirena antiaereo: è la prima prova di evacuazione, durante la quale si provano anche le maschere antigas. Poi, il 20 giugno, anche l’Italia entra in guerra, al fianco della Germania nazista.
Gli anni di guerra per l’Italia sono una catastrofe. Una catastrofe annunciata, si potrebbe pure dire, perché il regime fascista è impreparato, debole, non è equipaggiato. Colleziona sconfitte su sconfitte, diventando anche un problema per lo stesso Hitler.
L’8 settembre, alle ore 18:30, Radio Algeri annuncia l’armistizio con un proclama in inglese del generale americano Eisenhower. Un’ora dopo, Badoglio dà l’annuncio dai microfoni dell’Eiar (Ente italiano per le audizioni radiofoniche). Per i tedeschi, quello italiano è un tradimento. E la punizione non si fa attendere.
Napoli è allo stremo delle forze. C’è carenza di cibo, di medicinali, gli abiti sono fatti con tessuti di scarto, le scarpe con materiale di fortuna, spesso cartone.
Il malcontento comincia a diventare insofferenza. Anche perché, al momento dell’annuncio dell’armistizio, quell’attimo di illusione di chi aveva pensato che la guerra fosse davvero finita ha un impatto fortissimo sulla psicologia della città già in ginocchio. Si capisce subito che c’è un’altra guerra da combattere, contro i tedeschi
L’8 settembre, il 9, l’11, il 12 settembre cominciano a registrarsi le prime reazioni all’occupazione tedesca. Scontri, sparatorie, resistenze. L’Università Federico II viene invasa e incendiata. Migliaia di volumi risulteranno distrutti. L’obiettivo non è scelto a caso, perché l’Università è diventata un punto di riferimento per antifascisti.
Il 12 settembre un evento particolare scuote l’emotività della città e, forse, cambia anche le sorti di quelle giornate. Le truppe tedesche, con un processo farsa, condannano a morte un marinaio. L’esecuzione, tramite fucilazione, viene eseguita sulle scale dell’Università e migliaia di napoletani sono costretti ad assistere, con la forza.
L’Inizio delle 4 Giornate
il 27, la situazione precipita.
La scintilla della rivolta si accende sulle colline del Vomero e immediatamente coinvolge tutti, gente comune, bambini, adolescenti, intellettuali. Il futuro cantante Sergio Bruni rimane ferito proprio durante questi scontri. Le donne sono fondamentali, nascondono gli uomini nelle cantine, nei rifugi, nei luoghi più impensabili. Il professore Antonino Tarsia del liceo classico “Sannazzaro” con i suoi studenti dell’ultimo anno di liceo si unisce agli gli scontri.
D’altra parte, non ci sono alternative. Sono tutti coinvolti, tutti si ritrovano sulle barricate.
Napoli è un campo di battaglia.
Il primo giorno di rivolta, un gruppo di circa duecento napoletani, guidati da Vincenzo Stimolo, assalta l’armeria del Castel Sant’Elmo. L’operazione è fondamentale: per la resistenza servono armi. E’ arrivata anche la notizia che lì i tedeschi stanno portando alcuni prigionieri condannati a morte.
Il 28 settembre gli scontri si intensificano. Nel quartiere Materdei, una pattuglia tedesca si rifugia in un’abitazione civile, circondata dai napoletani e tenuta sotto assedio per delle ore.
La rivolta non ha un’organizzazione militare, è affidata ancora a singoli capipopolo di quartiere e la differenza di risorse e strategie è impressionante.
Nel Campo Sportivo del Littorio, il futuro Stadio Arturo Collana, i tedeschi raggruppano 47 prigionieri. Vincenzo Stimolo decide di circondare il campo con i militari e i civili. Il piano è fingere di disporre di molti più uomini di quanti ce ne siano in realtà. Per trasmettere l’idea di una resistenza numerosa, la popolazione fa rumore con gli utensili da casa.
Allo Stadio, i nazisti alzano per la prima volta bandiera bianca.
Stimolo chiede di parlare direttamente con il colonnello Scholl, per assicurarsi il rilascio dei prigionieri. La trattativa segna la fine dell’occupazione dei tedeschi a Napoli ed è la prima volta – in Europa – che i tedeschi trattano alla pari con degli insorti.
Non è un’operazione facile: altre scontri si registrano tra Port’Alba e Materdei e, per ritorsione, i tedeschi danno alle fiamme il deposito di dell’Archivio di Stato di Napoli. Il danno al patrimonio storico è incalcolabile.
Dopo le 4 Giornate arrivano gli Alleati
Quel giorno, anche il Vesuvio sembra deporre le armi: cessa di fumare, dopo la terribile eruzione nei giorni degli scontri. “S’è levato ‘o cappiell’ “, è il commento dei napoletani, interpretando quell’evento come un gesto di deferenza nei confronti della popolazione stremata.
Alla città di Napoli viene riconosciuta la Medaglia d’Oro per le 4 Giornate
”Con il suo glorioso esempio additava agli italiani la via verso la libertà, la giustizia, la salvezza della Patria” è la motivazione, che riconosce all’insurrezione napoletana l’importanza nel più lungo processo di Resistenza.
Il poeta Salvatore Palomba ha scritto una meravigliosa poesia in dialetto dal titolo “Napule nun t’ ‘o scurda’” le cui ultime strofe recitano:
Napule nun t’ ‘o scurdà, ‘O vintotto ‘e settembre d’ ‘o quarantatrè ‘o popolo napulitano combatteva e moreva. Pe’ scrivere ‘int’ ‘a storia finalmente quatto pagine tutte cu ‘o stesso nomme, DIGNITA’!
Napule nun t’ ‘o scurdà!