Circa 4 pazienti su 10 già entro 2 anni dalla diagnosi di Lupus eritematoso sistemico (Les) soffrono di complicanze renali.
I pazienti con nefrite lupica, che rappresentano il 40% circa di tutti quelli affetti da lupus eritematoso sistemico (Les), hanno finalmente a disposizione un farmaco specifico per la loro condizione, un anticorpo monoclonale in grado di proteggere i loro reni dal progressivo deterioramento funzionale comportato da questa malattia autoimmune, che colpisce soprattutto le giovani donne.
La ricerca farmacologica sta dunque finalmente mettendo a disposizione farmaci specifici contro questa condizione, efficaci a patto però che vengano somministrati tempestivamente, prima che il danno renale prenda piede in maniera grave e irreversibile. Ma il lupus in questo è accomunato a tante altre patologie reumatiche, “il cui ritardo diagnostico – afferma Gian Domenico Sebastiani, presidente Società Italiana di Reumatologia (Sir) – appare francamente intollerabile, tanto più che oggi si dispone di terapie innovative in grado di deviare la storia naturale della malattia, purché somministrate agli esordi”.
60 mila italiani interessati
Nel caso del lupus, una malattia che interessa circa 60 mila italiani, il ritardo diagnostico è in media di 2,5 anni. “Il lupus – sottolinea Rosy Pelissero, presidente di Gruppo Les – è una malattia sistemica, subdola, che può assomigliare a tante altre, almeno agli esordi. Soprattutto in età pediatrica, per arrivare alla diagnosi ci vuole ancora tanto tempo. E la terapia non può essere iniziata in modo tempestivo se la diagnosi non è precoce. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che tra la popolazione generale c’è molta disinformazione su cosa sia il lupus. Ma dalle persone che frequentano la nostra associazione sentiamo che c’è ancora poca informazione anche da parte dei medici”.
Lupus rischio dialisi o trapianto
“La glomerulonefrite lupica – ricorda Stefano Bianchi, presidente Società Italiana di Nefrologia (Sin) e Nefrologia e Dialisi Asl Toscana nord-ovest – è la forma più diffusa e grave dell’interessamento renale del lupus e nella metà di questi pazienti può avere conseguenze gravi e portare a perdita di funzionalità renale, fino alla dialisi o al trapianto. Riconoscere prima possibile questa condizione è dunque fondamentale per instaurare trattamenti nefro-protettivi mirati”.
Ma l’interessamento renale può restare silente a lungo e quindi va sempre essere ricercato attivamente in questi pazienti, fin dal momento della diagnosi di Les. Ecco perché è fondamentale un approccio multidisciplinare alla malattia, gestita in prima battuta dal reumatologo, ma sempre di concerto con il nefrologo. “Sarebbe opportuno– commenta il professor Sebastiani – che questi pazienti fossero presi in carico presso centri di eccellenza e di grande esperienza, per gestire al meglio le opportunità di cura e l’accesso all’innovazione, rappresentata anche da farmaci introdotti in terapia di recente, come belimumab”.
Immunosoppressori per il trattamento
“Per il trattamento di questa condizione – ricorda il presidente della Sir– vengono utilizzati una serie di immunosoppressori (azatioprina, micofenolato, ciclofosfamide), presi in prestito da altre malattie, mentre in passato si trattava solo con i cortisonici, di scarsa efficacia e causa di importanti effetti collaterali. La novità degli ultimi tempi è rappresentata da belimumab, un anticorpo monoclonale, capostipite di una nuova classe di farmaci, gli inibitori BLyS-specifici. Questo farmaco è una terapia add-on che modifica l’approccio terapeutico al lupus: è somministrato fin dall’inizio nei pazienti con nefrite lupica, in associazione a ciclofosfamide e micofenolato, secondo uno schema di politerapia fin dall’inizio (e non sequenziale), che rappresenta per questi pazienti un notevole passo avanti”.
“Le terapie usate finora per la nefrite lupica – spiega il professor Bianchi – non erano specifiche per questa condizione. Belimumab è invece una terapia specifica che rappresenta un’opportunità in più per il paziente ma anche per il nefrologo, perché portare un paziente alla dialisi o al trapianto è devastante anche per il medico. Avere questa possibilità terapeutica rappresenta insomma un grande passo avanti. Un’analisi post hoc del trial BLISS LN dimostra che il trattamento con belimumab rende meno probabile la perdita di funzione renale e questo ci fa intravvedere un futuro più roseo per questi pazienti”.
Il nuovo farmaco
Il nuovo farmaco può essere somministrato per via endovenosa presso un centro ospedaliero, ma di recente si è resa disponibile anche una nuova formulazione per via sottocutanea, che potrebbe estenderne la somministrazione anche a quei pazienti che hanno difficoltà a recarsi in ospedale per il trattamento.
“Mi ricorda – commenta il presidente della Sin – la storia dell’eritropoietina, prima riservata solo ai pazienti in dialisi perché a somministrazione endovenosa, mentre il passaggio alla formulazione sottocutanea ne ha esteso l’uso a tanti altri pazienti”. Belimumab rappresenta insomma un nuovo capitolo della terapia della nefrite lupica, un farmaco realizzato su misura per questi pazienti ma anche un’innovazione che parla italiano. Il farmaco è infatti prodotto per tutto il mondo a Parma, presso lo stabilimento ad alta innovazione tecnologica di GSK.