Le attrici di "S'Accabadora": la grande prosa di Anfiteatro Sud

“S’Accabadora”: la grande prosa di Anfiteatro Sud

Segreti di famiglia e tradizioni dell’Isola si intrecciano in “S’Accabadora” venerdì 3 febbraio al Teatro del Carmine di Tempio Pausania.


Segreti di famiglia e miti e tradizioni dell’Isola si intrecciano in “S’Accabadora” di Anfiteatro Sud (spettacolo vincitore del Premio alla Miglior Drammaturgia al Roma Fringe Festival 2020) con drammaturgia e regia di Susanna Mameli, che firma anche soggetto e regia degli inserti video, mentre le musiche sono di Paolo Fresu, in cartellone venerdì 3 febbraio alle 21 al Teatro del Carmine di Tempio Pausania.

Sotto i riflettori Marta Proietti Orzella e Elisa Pistis che interpretano rispettivamente Antonia, donna forte e determinata, affermatasi in una antica e singolare professione, quella de “S’Accabadora”, ovvero colei che spezza il filo del destino e pone fine all’esistenza e alle sofferenze terrene, figura leggendaria dell’immaginario sardo (e mediterraneo), quasi un’antesignana della moderna eutanasia e Speranzedda, che si prende cura della casa, creatura più fragile e apparentemente sottomessa, ma non meno tenace nel perseguire la realizzazione dei propri desideri, fino a imporre a entrambe una sorta di “sacrificio” crudele ma inevitabile.

Focus sui miti e le leggende dell’Isola

Focus sui miti e le leggende dell’Isola reinterpretati in chiave contemporanea in “S’Accabadora” di Anfiteatro Sud. La pièce originale (già finalista al concorso Nuove Sensibilità del Festival Teatro Italia di Napoli e vincitrice del Premio Nazionale Teatro “Lauretta Masiero” per la drammaturgia) affronta temi cruciali e scottanti come la violenza di genere e i graffi sull’anima causati dagli abusi fisici e psicologici, accanto alla forza dei legami di sangue e all’importanza della sfera degli affetti, attraverso una vicenda emblematica sullo sfondo di una Sardegna arcaica sospesa tra passato, presente e futuro.

“S’Accabadora”, liberamente ispirata a “Le Serve” di Jean Genet, mette in luce attraverso i dialoghi ironici e surreali tra le due protagoniste, incentrati sui giochi di potere e il ribaltamento dei ruoli tra serva e padrona, il rapporto tra le due sorelle impegnate a “recitare” davanti agli occhi del mondo ma anche custodi di inconfessabili segreti.

Una partitura rigorosa e un ritmo incalzante, per condurre gli spettatori in un universo femminile e misterioso, tra complicità e antagonismi, in cui trionfa però la solidarietà tra due esseri in qualche modo prigionieri delle regole e delle convenzioni e del giudizio della società. Il dramma di Antonia e Speranzedda ha radici remote nella loro storia familiare, entrambe subiscono il peso e l’onta di una colpa altrui e, vittime di una feroce ingiustizia, hanno trovato nella fuga la possibilità di ricostruirsi una vita e raggiungere una qualche serenità, se non proprio la felicità.

Un cammino segnato da rinunce e dalla solitudine

Un cammino segnato da rinunce e dalla condanna alla solitudine: nessuna delle due ha potuto conoscere le gioie, o i dolori, del matrimonio, condividere l’amore con un uomo o avere dei figli, ma si ritrovano costrette a una difficile convivenza, a dover sopportare la continua presenza l’una dell’altra, con il ricordo incessante di un trauma da dimenticare.

Soltanto Antonia, “S’Accabadora”, per il suo lavoro ha frequenti contatti con la realtà esterna, che appare in quel claustrofobico microcosmo come remota e irraggiungibile, quasi un altro pianeta. La casa rappresenta insieme il rifugio e il carcere dove, volontariamente, Speranzedda ha rinchiuso i suoi sogni di una perduta giovinezza, per assumere la funzione di angelo del focolare, cameriera o serva, nonché confidente di colei che, seppure a malincuore, le porta notizie su quel che accade fuori e divide con lei i suoi pensieri e le sue emozioni.

“S’Accabadora” è quasi una favola triste, tragicamente attuale, ma con momenti di estrema vivacità che si consumano nel duello verbale tra le due donne, ricco di allusioni e sottintesi, di rimandi all’enigma su cui è imperniata la loro esistenza, che si svela poco a poco, per frammenti o brevi squarci, in un crescendo di suspense e mistero fino al coup de théâtre finale, dove le due finalmente si mettono a nudo ed emerge, intera e terribile, la verità.

Rimandi alla cultura e alle tradizioni della Sardegna

Una pièce di teatro contemporaneo, con una scrittura bruciante, tra echi dell’opera di Genet e rimandi alla cultura e alle tradizioni della Sardegna, che mette l’accento sulla condizione femminile e sulla fragilità ma anche la forza delle donne costrette a confrontarsi con una civiltà patriarcale, a lottare quotidianamente per la propria emancipazione, per far valere le proprie opinioni e decidere del proprio destino, per conquistare la propria libertà.

Un pièce teatrale avvincente e coinvolgente, per risvegliare le coscienze e mettere l’accento sulle ingiustizie, le discriminazioni, gli abusi e le violenze di genere, capace di far emozionare, a tratti perfino sorridere, con il pungente senso dell’umorismo e le situazioni paradossali, oltre che con le battute folgoranti di quello che pare un “gioco” tutt’altro che innocente, ma soprattutto far pensare.

S’Accabadora di Anfiteatro Sud, atto unico liberamente ispirato a “Le Serve” di Jean Genet sotto le insegne della Stagione 2022-2023 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC – Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna.

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Appassionato di storia e di geopolitica, di lettura e di cinema. Il più grande desiderio? Diventare giornalista freelance.

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