Nell’anno record per siccità e alte temperature, i dati della vendemmia e della produzione vitivinicola in Italia rimangono stabili: si stimano più di 50 milioni di ettolitri di produzione, dato che ci conferma primo produttore al mondo e capace di generare un fatturato di 13 miliardi di euro oltre a 6 miliardi e mezzo di export.
“Ma il rischio c’è stato”, come conferma Andrea Pitacco, professore all’università di Padova. E se anche i 674 mila ettari coltivati a vite sul suolo italiano hanno retto il colpo del cambiamento climatico, l’hanno fatto in maniera molto disomogenea lungo la Penisola. La Lombardia, per esempio, perde il 20% rispetto al 2021, –9% il Piemonte, per citare i casi più vistosi previsti dall’Ismea. Compensati da una Sardegna che aumenta invece la produzione del 15%, dal +12% della Toscana, e, fra gli altri casi, dalla crescita a doppia cifra di altre quattro regioni.
Una grossa mano l’hanno data le piogge di fine stagione. Tardive, sì. E provvidenziali. Ma anche operazioni colturali e tecniche di lavorazione hanno consentito ai vigneti di adattarsi alle nuove condizioni climatiche legate alla siccità.
Intanto introducendo, quest’anno, attività di irrigazione di soccorso. “Che però” ricorda Andrea Pitacco, “escludono zone importanti che per motivi morfologici o strutturali non hanno sempre accesso a questa possibilità”. In altre parole: zone collinari possono rendere più difficoltosi i servizi irrigui, e piccoli invasi possono non essere più sufficienti con il nuovo regime delle precipitazioni che stiamo osservando.
E poi grazie ad accorgimenti tecnici che possono aiutare a limitare lo stress delle piante. Come, per esempio, favorire la crescita di viti con superfici fogliari meno espanse e meno vigorose, e quindi meno bisognose di acqua e non di un clima segnato dalla siccità. Ma allo stesso tempo con interventi di potatura di controllo che evitino ai grappoli troppa esposizione alla radiazione solare.
C’è però un aspetto che sembra più preoccupante di altri. Ed è il confronto con il 2003, altro anno caldo, caldissimo, che fece preoccupare e correre ai ripari i viticoltori per gli anni a venire. “In quell’anno”, spiega Andrea Pitacco, “condizioni non troppo diverse dal 2022 avevano provocato effetti devastanti”. La conclusione? “Anche da esperti del settore sappiamo davvero troppo poco di questi processi, che restano molto complessi: implicano stagionalità, resistenza e resilienza della vite e molte altre variabili”. La parola chiave è l’instabilità, insomma. Mettere insieme i dati in modo leggibile per il futuro, resta difficile.