La plasticosi coinvolge l’apparato digerente
La plasticosi, l’ultima malattia scoperta da un’équipe di scienziati, provenienti dal Regno Unito e dall’Australia, è un disturbo intestinale associato, per l’appunto, all’ingestione di frammenti di plastica. La ricerca è stata pubblicata sulle pagine del Journal of Hazardous Materials. Spiega che questa malattia colpisce l’intestino degli esemplari di berta piedicarnicini (nome scientifico Ardenna carneipes). Soprattutto uccelli marini che vivono sull’isola di Lord How, nel Pacifico sud-occintale, a oltre 600 chilometri dalle coste australiane. Ma è possibile che le specie che soffrono del disturbo della plastica siano molte di più. La plasticosi è una fibrosi intestinale, ossia un rimodellamento dell’anatomia dell’intestino delle berte. Avviene in risposta allo stato di infiammazione prodotto dalla plastica: sostanzialmente un’area perde la capacità di cicatrizzare e guarire normalmente.
L’inquinamento da plastica è un’emergenza conclamata
La plastica e i suoi frammenti, cioè la micro e la nanoplastica, hanno invaso tutto il pianeta. Si stima che gli oceani ne ospitino circa 150 milioni di tonnellate, a cui ogni anno se ne aggiungono altri 5-13 milioni. L’inquinamento da plastica è, pertanto, un’emergenza conclamata che ha effetti deleteri su economia, clima, salute umana e vita marina. Ma nonostante molti degli effetti della plastica sul regno animale siano già documentati, questa è la prima volta che la scienza sia riuscita a riconoscere un quadro patologico e specifico negli animali selvatici. “Viste dall’esterno, le berte sembrano del tutto sane”. Spiega Alex Bond, co-autore dello studio ed esperto del Natural History Museum di Tring, in Inghilterra, “ma il loro sistema digestivo non lo è affatto. Il nostro studio ha indagato per la prima volta il tessuto intestinale e dello stomaco, e ha mostrato quanto serie possano essere le conseguenze dell’ingestione di plastica“.