Si avvicina l’assegnazione delle frequenze DAB in Italia e la scarsità di risorse radioelettriche non consentirà ai tutti i consorzi di ottenerle
N non tutte le radio potrebbero disporre di un canale, in particolare quelle che non dispongono di frequenze FM. Con Massimo Lualdi, che con Consultmedia assiste da quasi trent’anni centinaia di editori sugli aspetti normativi, facciamo il punto della situazione sulle prospettive e i passi da compiere per gli editori tradizionali e per quelli che hanno approfittato della disponibilità di canali attuale per portare la loro webradio sul DAB.
Una premessa
In Italia la banda digitale ha due limiti: l’inutilizzo del canale 13 (riservato dal ministero della Difesa ai link VHF usati dall’Esercito) e i problemi interferenziali sollevati dalle nazioni confinanti, che limitano il numero di canali utilizzabili, aggravati dall’assenza del ministero ai tavoli di coordinamento nell’ultimo decennio, che hanno lasciato all’Italia “le briciole”.
Che tempi si prevedono per il contest e la successiva assegnazione?
Difficile rispondere, dato che non sono ancora presenti le linee guida definitive per la partecipazione ai bandi da parte del ministero delle Imprese e del Made in Italy. Si pensava di trovarle entro la fine di febbraio 2023, con conseguente pubblicazione dei bandi nel corrente mese di marzo e termine per la presentazione delle domande entro i 30 o 60 giorni successivi (non si conosce nemmeno il tempo che sarà concesso), ma così non è avvenuto. Presumo lo saranno a breve, quindi possiamo stimare che entro l’inizio dell’estate il ministero potrà iniziare il vaglio e, salvo sorprese, concludere l’attribuzione per la fine dell’anno.
Per quante emittenti ci sarà spazio sul DAB?
Poiché la bozza delle linee guida indicava per ogni emittente un limite massimo di 72 CU (unità capacitive: consente di veicolare 12 canali con un bitrate di 96 kbps su un multiplex), ma (giustamente, per evitare gli errori del DTT) non un minimo, è difficile rispondere. In linea teorica 36 CU (pari a 48 kbps per canale) sono considerati un valore idoneo a traghettare in digitale l’esistente analogico. Ma siccome non tutte le emittenti rinunceranno al massimo spettante, il quadro è ancora indefinibile.
Chi opera in FM avrà la priorità nell’assegnazione o solo un punteggio maggiore?
Lo avrà nella misura in cui solo i concessionari analogici possono partecipare ad un consorzio come soci. Ma se non lo avranno fatto prima dei bandi, avranno le stesse chance dei fornitori indipendenti, cioè nativi digitali.
Una radio nata sul DAB potrà ancora trasmettere? Che passi dovrà compiere per non dover spegnere e tutelare gli investimenti fatti finora?
Qualche nativo digitale ha acquisito lo status di concessionario analogico (rilevando concessione ed impianto FM nella regione d’interesse). Qualche altro si è assicurato una quota del 50% dei 72 CU spettanti ad un concessionario analogico (consentendogli di abbattere i costi pro quota nel consorzio). Per gli altri dipenderà dagli spazi rimasti. Come Consultmedia siamo convinti che il mercato si stabilizzerà nell’utilizzo di 36 CU che, se gestiti bene dal punto di vista della catena audio (file d’origine, processamento sonoro di elevata qualità e codec Fraunhofer), garantiscono una qualità sonora più che discreta. In quest’ottica dovrebbero poter sopravvivere tutti gli attuali fornitori indipendenti presenti nei mux sperimentali.
Acquistare una concessione e un canale FM? Qualcuna lo ha già fatto: questo nuovo interesse per l’FM farà salire le quotazioni?
Assolutamente no. Si tratta di un fenomeno transitorio legato solo alla partecipazione ai bandi. Anzi, immediatamente dopo assisteremo ad un nuovo crollo. Dirò di più: è molto probabile che venga incentivata a livello ministeriale (su impulso di Agcom che si è già espressa sul punto) la dismissione volontaria di impianti a fronte della garanzia di preservare in digitale lo status analogico (quindi possibilità di concorrere per ottenere contributi ed altre misure di sostegno e ovviamente di partecipare ai consorzi come soci).