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A Sassari e a Cagliari “Il Malato Immaginario” di Molière

Emilio Solfrizzi interpreta “Il Malato Immaginario” di Molière: la celebre commedia in cartellone da mercoledì 19 fino a domenica 23 aprile al Teatro Massimo di Cagliari e lunedì 24 aprile alle ore 21 al Teatro Comunale di Sassari, per l’ultima data della tournée nazionale.

Sotto i riflettori – accanto al noto attore e comico pugliese nel ruolo del protagonista, Argante inguaribile ipocondriaco, così ossessionato dai mille disturbi e dall’ansia di curarsi, da non saper più gustare i piaceri e le gioie dell’esistenza – Lisa Galantini, Antonella Piccolo, Sergio Basile con Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico, Luca Massaro e con Rosario Coppolino, per la regia di Guglielmo Ferro (produzione Compagnia Molière – La Contrada / Teatro Stabile di Trieste, in collaborazione con Teatro Quirino / Vittorio Gassman).

Una commedia divertente e sempre attuale, come lo sono le umane passioni e le piccole manie, così come gli ingiustificati timori: la storia emblematica di un uomo così concentrato su se stesso da trascurare gli affetti e perdere di vista perfino il proprio interesse, cadendo vittima di ciarlatani, rivive sulla scena in una chiave più contemporanea che mette in risalto, oltre alle stravaganze del protagonista, la sua segreta paura di vivere.

Il genio di Molière per un satirico affresco della società con “Il Malato Immaginario”, l’ultima, celeberrima commedia del grande artista francese, nell’interpretazione di Emilio Solfrizzi (nel ruolo del titolo) con Lisa Galantini e con Antonella Piccolo e Sergio Basile, accanto a Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Cecilia D’Amico e Luca Massaro, con la partecipazione di Rosario Coppolino, per la regia di Guglielmo Ferro, che mette l’accento sulla «paura di vivere» del protagonista, il quale inconsciamente si serve della malattia «per non affrontare “i dardi dell’atroce fortuna”» e sottrarsi ai problemi e alle responsabilità, perduto nelle proprie stravaganze e manie.

La pièce, nell’allestimento della Compagnia Molière e La Contrada / Teatro Stabile di Trieste, in collaborazione con Teatro Quirino – Vittorio Gassman, con i raffinati costumi di Santuzza Calì e le evocative scenografie di Fabiana Di Marco, e con le musiche di Massimiliano Pace, in cartellone da mercoledì 19 aprile alle 20.30 fino a domenica 23 aprile al Teatro Massimo di Cagliari, domenica 23 aprile alle 19, turno E e infine lunedì 24 aprile alle 21 al Teatro Comunale di Sassari, per l’ultima data della tournée nazionale.

Oltre la Scena / incontro con gli artisti: giovedì 20 aprile alle 18 nel Foyer del Teatro Massimo di Cagliari, Emilio Solfrizzi e gli attori della Compagnia Molière hanno condotto idealmente gli spettatori in un viaggio dietro le quinte de “Il Malato Immaginario” di Molière con una riflessione su teatro e società – in una conversazione con lo scrittore Matteo Porru – INGRESSO GRATUITO

L’opera: sinossi

“Il Malato Immaginario” racconta le peripezie quotidiane di Argante (Emilio Solfrizzi), uomo benestante ma afflitto da una molteplicità di patologie, esistenti verosimilmente solo nella sua testa, oltre che nelle fantasiose diagnosi dei vari medici chiamati ad assisterlo, che non lesinano cure e prescrizioni in cambio di elevate parcelle, somministrando con dovizia purghe e salassi, diete rigorose e divieti, per non contrariare l’infelice paziente, assecondandolo anzi nelle sue fissazioni.

Un bel personaggio, un tipico e perfino estremo caso d’ipocondria, intorno a cui l’autore costruisce tutto un circo di sedicenti luminari e esperti, che dibattono e si contraddicono, rafforzando ogni volta le dosi, sui misteriosi mali e le relative terapie: Molière irride l’arroganza e i toni saccenti di questa corte di guaritori e ciarlatani, pronti a sfruttare le debolezze e i timori del dovizioso cliente a proprio vantaggio, ché se fossero stati davvero sapienti avrebbero dovuto smascherarlo (e smascherarsi insieme ai propri colleghi) o comunque non perder tempo a seguirne le ubbie, mettendo così abilmente in scena un intrigante gioco di specchi tra finzione e realtà (che si trasforma per una beffa della sorte nella sua ultima rappresentazione).

Quell’uomo perennemente tormentato da dolori e sintomi sospetti, incapace di concentrarsi se non sul proprio stato di salute, è il perno intorno a cui ruota tutta la famiglia, in particolare la figlia Angelica (Viviana Altieri), innamorata di Cleante (Cristiano Dessì), ma che il padre vorrebbe dare in sposa a tal Tommaso Diaforetico (Luca Massaro), figlio del Dottor Diaforetico e nipote del Dottor Purgone (due dei medici che l’hanno in cura, entrambi interpretati da Sergio Basile) e l’altra figlia Luigina (Cecilia D’Amico), la giovane e avvenente moglie Bellonia (Antonella Piccolo), che si potrebbe supporre l’abbia sposato per interesse, e il fratello Beraldo (Rosario Coppolino, anche nei panni del notaio), il quale non sa darsi pace davanti a questa “follia”.

La serva Tonina

Tra le figure chiave spicca la serva Tonina (Lisa Galantini) che con i modi bruschi e diretti e la sincerità dettata dalla confidenza cerca in ogni modo di far rinsavire il padrone da quella stramba affezione, consistente proprio nel credere d’essere malato, finendo lei stessa con il travestirsi da cerusico nella speranza di venir finalmente ascoltata in quelle vesti autorevoli, inscenando così una commedia nella commedia. E poi il notaio, fondamentale per chi si trovi in punto di morte e decida di rifar testamento o combinar matrimoni e lo speziale (ancora Luca Massaro), che si presta a far da medico, salvo esser poi scacciato in malo modo, così che il titolare, nella fattispecie l’esimio Dottor Purgone, possa far mostra d’indignazione e mandare a monte quel tanto conveniente fidanzamento con il nipote che avrebbe permesso ad Argante d’imparentarsi addirittura con una stirpe di clinici.

Nell’irresistibile gioco comico, costruito come un crescendo, la pazzia volontaria del protagonista s’incrudelisce, anche se egli resta ben sensibile al fascino muliebre e alle moine della bella consorte, seppur irremovibile davanti a desideri e alla volontà delle figlie, dalla cui parte si schiera invece Tonina, e così pure lo zio, sgomenti davanti a tanto egoismo e a tanta incapacità di riconoscere la verità. Il caos generato dall’idea fissa del protagonista lascia il posto, dopo un susseguirsi di inganni e scambi di persona, equivoci, falsi svenimenti, bugie scoperte e lacrime sincere, al ritorno all’ordine con l’atteso lieto fine.

«“Il malato immaginario” ha più paura di vivere che di morire, e il suo rifugiarsi nella malattia non è nient’altro che una fuga dai problemi, dalle prove che un’esistenza ti mette davanti» – sottolinea il regista Guglielmo Ferro –. «La tradizione, commettendo forse una forzatura, ha accomunato la malattia con la vecchiaia… ma Molière lo scrive per se stesso, quindi per un uomo sui 50 anni: proprio per queste ragioni un grande attore dell’età di Emilio Solfrizzi potrà restituire al testo un aspetto importantissimo e certe volte dimenticato. Il rifiuto della propria esistenza».

Il capolavoro di Molière

Il paradosso di un uomo che si considera irrimediabilmente prossimo alla fine, colpito a suo dire da ogni sorta di malanno, salvo poi manifestare una insospettata energia e decisione nel sostenere le proprie tesi e aggrapparsi ai propri singolari principi, tanto da trasformarsi in un vero tiranno dentro le mura di casa, pur sottomettendosi volentieri ai più invasivi e fastidiosi protocolli terapeutici, appare ancora più evidente. «La comicità di cui è intriso il capolavoro di Molière viene così esaltata dall’esplosione di vita che si fa tutt’intorno ad Argante e la sua continua fuga attraverso rimedi e cure di medici improbabili crea situazioni esilaranti» – prosegue il regista –. «Una comicità che si avvicina al teatro dell’assurdo, Moliere, come tutti i giganti, con geniale intuizione anticipa modalità drammaturgiche che solo nel ‘900 vedranno la luce».

La storia tragicomica e emblematica di Argante riesce ancora oggi, a trecentocinquant’anni dalla prima parigina, a divertire il pubblico, come promette Guglielmo Ferro: «Si ride, tanto, ma come sempre l’uomo ride del dramma altrui».

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