Studio sul pericolo e forte aumento di microplastiche
Uno studio eseguito dagli studiosi dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Cnr-Isp) e divulgato sul noto magazine Science of the Total Environment, ha esaminato i fatti e gli elementi concernenti la contaminazione causata da microplastiche nelle acque dolci dell’Artico, dell’Antartide e nell’altopiano in Tibet, un habitat chiamato ‘Terzo Polo’ dove è presente il 15% dei ghiacci di tutto il Pianeta. Questa categoria di contaminazione è attualmente un pericolo a livello mondiale in particolar modo dovuto alla forte crescita anche di produzione della plastica, che è aumentata in circa 70 anni da 1,5 milioni, a 359 milioni di tonnellate.
Le dichiarazioni di un noto studioso italiano sulla questione
“Artide, Antartide, Altopiano del Tibet: abbiamo preso in considerazione tre ambienti molto distanti tra loro, ma accomunati dalla presenza di microplastiche nei laghi, nei fiumi, nei ghiacciai e nella neve, con ogni probabilità trasportate in queste zone dagli uccelli e dal vento, o accumulate in conseguenza di attività antropiche, come il turismo e le attività di ricerca svolte nelle basi. Ciò rappresenta una problematica notevole, visto che la loro presenza all’interno del ghiaccio può agevolarne lo scioglimento, oltre a determinare un pericolo per gli animali che vivono in quelle aree, dovuto all’eventuale ingestione, che può condizionare la catena alimentare di quegli ecosistemi”, afferma Maurizio Azzaro, responsabile della sede Cnr-Isp sita nel Comune di Messina e coautore della ricerca.
Il duplice operato dei microrganismi
Un aspetto particolare, che si evince da questo studio, riguarda l’attività dei microbi, che nelle aree polari sembra essere nello stesso tempo dannosa e teoricamente vantaggiosa per l’ambiente.
Le sue ulteriori considerazioni
“Le microplastiche fungono da superfici sulle quali le comunità microbiche riescono a svilupparsi – modificandone di fatto l’habitat – creando quella che gli scienziati hanno definito ‘plastisfera’, un ecosistema artificiale basato, per l’appunto, sulla plastica. L’azione dei microbi può alterare la galleggiabilità e aumentare la tossicità dei polimeri plastici, ma allo stesso tempo ne accelera la degradazione, in virtù delle basse temperature. Pertanto, l’impiego di microbi potrebbe costituire una potenziale strada ecosostenibile per mitigare l’inquinamento da microplastiche nelle aree fredde della Terra”, continua l’esperto del Cnr-Isp.
Pochi elementi a riguardo
Facciamo notare inoltre che mentre sui mari costieri e gli oceani gli esperi hanno svolto varie ricerche, gli elementi per quanto concerne inquinamento da microplastiche nelle acque dolci di queste zone sono ancora pochi.
Le sue conclusioni
“Il nostro lavoro ha messo in evidenza come anche i metalli pesanti (quali rame, piombo e nichel) tendano a legarsi alle microplastiche in acqua, rappresentando un ulteriore problema ambientale. Riteniamo che in questo settore vadano incentivate ulteriori attività di ricerca e che il monitoraggio e il contrasto all’inquinamento da microplastica, soprattutto in zone così fragili a livello ambientale, debbano essere considerati tra le priorità dei decisori politici per il prossimo decennio”, termina Azzaro.