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SuperAbile, la disabilità al tempo dei podcast

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SuperAbile, la disabilità al tempo dei podcast
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Il punto di vista di chi convive con questa tutti i giorni e osservata dagli studenti e studentesse universitari normo-abili. SuperAbile è un progetto di Unica Radio, realizzato in collaborazione con gli studenti del corso di “Scienze della comunicazione” che racconta la disabilità a 360°.

L’obiettivo principale del progetto SuperAbile è quello di mettere gli ascoltatori nei panni dei protagonisti del podcast, demolendo tutte le barriere e pregiudizi che erroneamente si creano nei confronti di tali persone e come certe apparenze siano superabili e non esistano.

A raccontarsi all’interno del podcast, c’è Elena, Mara, Daniela, Christian, Samoa, Mauro, Mirella, Francesca, Alessandro, che ci presentano il loro punto di vista, come è cambiata la loro vita quotidiana prima e dopo la malattia. Il passaggio dall’essere normo-abile a persona con disabilità è senza dubbio un’esperienza difficile, ma che cosa si intende con disabilità?

Questa può sembrare una domanda apparentemente semplice, con molti riferimenti alla nota normativa della legge 5 febbraio 1992, comunemente indicata come 104, che riconosce giuridicamente lo stato di invalidità. In realtà, il concetto di disabilità è un campo complesso e sfaccettato, privo di una definizione universale e scientifica a causa delle diverse prospettive sullo “oggetto disabilità”. Basti pensare che il primo documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla disabilità risalga al 1980, soltanto 43 anni fa. In questo documento, noto come ICIDH, vengono differenziati i termini “deficit”, “disabilità” e “handicap”:

  • · Col termine deficit, o menomazione, si classifica qualsiasi perdita o anormalità di una struttura fisiologica, anatomica o psicologica;
  • ·  Con disabilità si identifica la limitazione o la perdita delle capacità nell’effettuare qualsiasi attività considerate “normali”. Potremmo dire che è una conseguenza della menomazione;
  • ·  L’Handicap, invece, è uno svantaggio sociale, che deriva dal mondo delle corse equestri, in cui venivano applicati pesi di piombo sopra un cavallo per svantaggiarlo in una gara. Per l’OMS, l’Handicap identifica lo scontro tra disabilità e barriere di diversa natura o l’azione disabilitante delle barriere fisiche e socioculturali. Quindi la disabilità non è handicap.

Trascrizione intervista

Selezioniamo le interviste realizzate e le riproponiamo per voi. Musicisti, innovatori, artisti, sportivi, operatori sociali, raccontiamo la città che cambia, un archivio unico a disposizione, scelti da noi e messi in onda per voi. Unica Radio: be podcast.

Io fino a qualche mese prima ero normalissima, cioè io sono stata impegnata per tutto questo tempo a sopravvivere. Quindi questo impegno a lottare tra la vita e la morte mi ha fatto rivedere la scala di valori. E ancora, posso dire che comunque non ero del tutto consapevole, perché poi quello che è stato in questi 20 anni non me lo sarei aspettato. Ovviamente, per quanto quei mesi ospedali siano stati duri, però, la vita di ogni giorno ha tutte le sue difficoltà. E ogni giorno te ne pone sempre di diverse. Quando si è giovani è strano pensare che quella catena di onnipotenza che abbiamo si possa spezzare. Abbiamo sempre mille progetti, ambizioni, lo studio, il lavoro. 

E poi ti trovi ad affrontare una nuova realtà, ad abituarti a una nuova vita che non sai ancora bene come definirla. La disabilità ci viene raccontata come qualcosa di distante da noi. Fino a qualche mese prima anche Samoa pensava lo stesso. È difficile metabolizzare quello che non ti aspetti. Tutto diventa grigio. Persino l’autostima. Ma la disabilità, del resto, non toglie nulla alla persona. Cambia la prospettiva del mondo, ma rimani la stessa persona. Con le tue capacità, con i tuoi talenti, i tuoi pregi e i tuoi difetti.

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Ma io mi sento Samoa esattamente come lo ero 7 mesi fa, per dire quindi questo cosa del concetto di dare un nome, qualcosa che dimostrasse che le mie capacità legate a un nome, io non riuscivo a concepirlo. Io sono Matteo Guidarini e insieme a Marco Lecca, Ilaria Cadoni, Fabrizio Lai abbiamo ideato SuperAbile.

È un podcast per scoprire come la società ci ha abituato a vedere la diversità e come superare quella sottile barriera tra persone normo abili e con disabilità. Realizzati in collaborazione con Unica Radio e il corso di Scienze della comunicazione dell’Università di Cagliari. SuperAbile racconta la disabilità dal punto di vista di chi convive con questa tutti i giorni e la disabilità osservata da studenti universitari normo abili, in modo da evidenziare come certe apparenze siano superabili e non esistano.

Tutti conosciamo persone con disabilità. E questa la associamo a fasce d’età molto adulta. Come per esempio i nonni, ai nostri occhi è qualcosa che non conosciamo da vicino e forse pensiamo che nemmeno ci toccherà. E così lo era anche per i nostri protagonisti.

Voce ai giovani

Ciao, io sono Mara Vacca. Io diciamo che sono stata veramente una ragazzina felicissima, nel senso che comunque ho passato la mia gioventù in maniera spensierata, assolutamente. Una volta arrivata all’università e aver raggiunto l’ambito traguardo a 24 anni, io odiavo studiare per me sono riuscita a laurearmi a 24 anni, ho iniziato ad avere problemi; e poi, dopo una serie di accertamenti, si è scoperto che era la sclerosi multipla quindi adesso vivo su una sedia a rotelle.

Io mi chiamo Daniela. Sono stata diagnosticata tre anni fa. Non parlo bene. Prima ero un grillo, adesso sono un grillo con la testa, il mio corpo mi segue.

Mi chiamo Elena Zedda. Io non sono nata con la disabilità. Quindi c’è stato un passaggio in cui mi sono dovuta abituare, appunto, quindi anche io all’inizio la vedevo come un qualcosa di non normale. Una persona come me, abituata a muoversi, a camminare, camminato, che aveva 9 mesi, correvo sempre, sono cresciuta in un paesino di montagna, perciò mi piaceva molto camminare. Mi piace camminare. Vederti con le ali tarpate in questo modo da non poterti muovere come vorresti è triste e poi a volte mi sento solo.

 Ma cos’è la disabilità?

Sembra una domanda banale, si potrebbe rispondere facendo riferimento alla famosa legge del 5 Febbraio 1992, nota anche come 104, che rappresenta il riconoscimento giuridico dello Stato di disabilità. In realtà la disabilità racchiude un vasto campo e il termine stesso, non ha un significato universale e scientifico. In quanto esistono più punti di vista dell’oggetto disabilità. La disabilità per me è stata prima di tutto quel modo, quel qualcosa che mi ha aiutato a considerare la vita in un’ottica diversa. Diciamo che con la malattia, con la disabilità ho cambiato prospettiva. Per me la disabilità, in questo momento, è semplicemente un qualcosa di aggiuntivo, perché appunto io sono una persona, ho tante altre cose. E poi, c’è appunto la disabilità, che ovviamente è una parte molto, insomma, importante della mia vita. Però non c’è solo quello, ecco.

Il primo documento dell’Organizzazione mondiale della sanità sulla disabilità, l’ICD risale al 1980. È importante come primo passo perché vengono assegnati significati diversi ai termini deficit, disabilità e handicap. Il secondo documento risale al 1993, e mette in evidenza l’influenza dei fattori ambientali, socioeconomici e culturali sullo sviluppo di patologie, oltre ad omettere il termine handicap dalla dicitura di disabilità. L’ultimo documento l’ICF venne pubblicato nel 2001. Ed è il più importante, in quanto si classifica lo stato di salute e cioè le strutture e le funzioni corporali che comportano le attività personali, le quali influiscono sulla partecipazione sociale.

Fattori ambientali

E sulle possibili menomazioni che derivano da fattori ambientali. Comprende anche le disabilità nascoste, come per esempio i disturbi di apprendimento. Inoltre, in questo documento viene evidenziato come il concetto di norma sia in realtà fattoriale rispetto a fattori specifici. La normalità, infatti, è una condizione passeggera. Dal mio punto di vista è, come dire, una cosa normale nella società di oggi. Lo scrittore Fabrizio Acanfora dice che la società disabilita coloro che non raggiungono criteri di ammissione alla categoria maggioritaria. Potremmo quindi definire la disabilità come lo stato in cui una persona si trova e dipende da vari fattori, tra cui il rapporto tra condizione e società organizzata per persone con caratteristiche comuni.

La disabilità è come una tenda che si pospone tra te e l’altro, la realtà. Questa tenda però può essere trasparente, può essere di un tessuto che fa intravedere, oppure può essere un tessuto completamente coprente che non ti permette di vedere niente di pensare a niente, di sentire niente e non sempre sceglie, o chi nasce con queste tende davanti o chi invece se le trova durante il percorso della vita. Non sa da solo capire se si possono spostare le tende e andare a vedere fino a raggiungere quella più trasparente.

La disabilità è un limite, quindi una barriera, nel momento in cui non c’è dialogo e non c’è supporto. Se invece c’è il dialogo e c’è il supporto, magari le cose sono più complicate da fare, ma si possono fare, non tutte, non sempre, ma anche quello è da accettare. Disabilità, purtroppo vuol dire anche molto spesso l’isolamento. Io per me e per fortuna non è stato così. Però, molto spesso c’è troppa commiserazione da parte propria.

Quotidianità

C’è un aspetto in particolare che più di tutti si collega alla condizione di disabilità. La disabilità non toglie alla persona di vivere la propria quotidianità. Anche se questa è resa difficile e non senza problemi delle barriere architettoniche, (il cui rimedio) non sono semplicemente gli scivoli per accedere a un negozio o i parcheggi riservati. E con tutte le cose che ti impediscono di fare le cose che vorresti fare tu, qualsiasi cosa. L’accessibilità deve essere uno stile di vita per tutti. Purtroppo, ancora non c’è una concezione dello spazio pubblico pensata per tutti.

Semplici dislivelli che magari per qualcuno sono cavolate, però perché appunto una disabilità, ovviamente sono un grande ostacolo. Poi i ciottoli per terra, quelli sono devastanti perché comunque è come se ci si rivoltassero tutti gli organi interni. Lì ti scontri contro una realtà che non puoi cambiarla, cioè lì è una questione di attenzione da parte della pubblica amministrazione, però credo che spesso certi progetti debbano essere effettivamente visti da un altro punto di vista.

Fino a quando non ho avuto io per prima il problema non me lo son posto in realtà. Quindi trovarmi in questa situazione mi ha reso più sensibile. Quando non viviamo in prima persona una determinata situazione, non osserviamo ciò che ci circonda con gli occhi degli altri, così quando camminiamo per la città non facciamo caso ai tanti problemi strutturali che impediscono la quotidianità delle persone con disabilità.

Ostacoli architettonici

La città che viene progettata per le persone, tra virgolette normali, che non hanno limiti di nessun tipo fisico, psicologico. E invece questa fetta di comunità viene trascurata anche dal punto di vista architettonico. Non sempre, quando si creano delle strutture si pensa a facilitare, appunto, la vita delle persone disabili. Però appunto, una cosa a norma di legge dovrebbe averle. Barriere architettoniche ce ne sono molte per quanto riguarda i disabili, dovrebbero avere più accesso a tutti, a tutte le strutture, a tutti i posti, diciamo.

E come tutte le persone che ci possono andare, per esempio, se ci sono delle scale. Tutti possiamo salire le scale, quelli che stiamo bene, no? Mentre loro non lo possono fare, quindi ci dovrebbe essere un qualcosa che permetta anche a loro di raggiungere questi posti, no? Sono sicuramente ostacoli fisici che certe persone con delle disabilità è molto improbabile che riescano a superare. Prendiamo ad esempio le scale. Oppure un invalido in sedia a rotelle, che però si incontra davanti a dei gradoni.

Aneddoto

Quello è un ostacolo, architettonico ovviamente. Quindi da questo punto di vista penso si debbano fare degli accorgimenti. Quando incrociamo una persona con qualche disabilità, la prima reazione è: “Poverino, mi dispiace”. Il più delle volte accompagnata con una faccia da pesce lesso. Non lo si fa per cattiveria. Ma questo è dovuto alla scarsa informazione. Un giorno ricordo, ero in un negozio a fare acquisti e stavo girando da sola, tranquilla per le corsie. Quando mi sono trovata un bambino davanti mi ha guardato, si è bloccato, ha girato le spalle, è corso verso la mamma, ha iniziato a piangere.

La mamma ha fatto un gesto veramente antipatico, ha messo il suo braccio tra il bambino e me. Voglio dire. Non te li mangio i bambini e il problema è qui. Nasce proprio dal fatto che in primis sono gli adulti che non riescono a far capire alla nuova generazione che stare su una sedia a rotelle non è un problema, non è “brutto”, è sicuramente scomodo, per carità, però vedo da questo punto di vista molta ignoranza. 

Pietismo

Il pietismo. È solo una delle tante barriere mentali con cui la società si relaziona con la diversità. Eppure, tutto ciò non serve, anzi, se esistesse un galateo di relazioni interpersonali sarebbe il primo comportamento ad evitare. Un luogo comune, più che altro una ricorrenza molto comune che si ha è quella di provare pietà, una cosa che a me dà molto fastidio, provare pietà è qualcosa di viscido quasi, perché è paragonabile all’ignoranza, essere ignoranti di qualcosa però sentirsi comunque superiori e in dovere di aiutare una persona che magari non ha neanche bisogno di aiuto, cioè chi lo dice che una persona invalida oppure una persona con una malattia che l’ha portato poi alla disabilità abbia bisogno del tuo aiuto; cioè chi sei tu per sentirti superiore?

Perché alla fine si ritorna a quello. Ti senti superiore, perciò, in dovere e anche capace di poter aiutare una persona che non sai neanche, cioè gli stai praticamente mancando di rispetto pensando questo, perché già in primis non la tratti come se fosse una vera persona, come qualcuno quasi alla stregua di un animale che deve essere aiutato, come (abbandonato) nella strada. Era la persona disabile, appunto, non viene vista come una persona normale e quindi diciamo che il processo di inclusione sociale viene, viene visto come un ostacolo, come un impedimento.

Visione delle persone con disabilità

Credo che sia vista come qualcosa sicuramente di limitante, però credo che questo pensiero a volte sfoci nel vedere queste persone, come anche non dico inferiori ma…sì, dico inferiori. Credo sia questo il pensiero, anche sicuramente un pensiero molto protettivo, ma non in senso buono, nel senso nel senso negativo e in senso protettivo, quasi come se non potessero scegliere per loro. Ci sono sicuramente dei tabù; e ad esempio, è visto molto strano che ne so, associare sessualità e disabilità, a volte anche immaginarsi un disabile che lavora, che ha una sua vita indipendente.

Niente, praticamente li si vede solo come persone perennemente accompagnate, perennemente della loro famiglia di origine, ma come persone che si ricreano poi qualcosa di loro e di nuovo. Li si immaginano sempre come persone destinate al, non voglio usare il termine, essere mantenute, ma al non combinare mai niente di socialmente apprezzato, ecco.

Secondo me, se tu guardi una persona con una disabilità che la guardi con pietà, comunque stai per notare ancora di più il fatto che quella persona abbia quella disabilità. Invece se si trattasse come una persona normalissima, che purtroppo ha quella disabilità, in maniera normale, comunque, secondo me, ci sarebbero comunque meno tabù, meno percezione di una di avere davanti a sé una persona diversa.

80% delle persone sono molto egoiste, pensano solo per loro più che indifferenza, perché indifferenza vuol dire che manco ti vede. No: non ti voglio proprio. Questo è quello che ti fa ancora più male: non ti voglio proprio. Ci sono quelli che si spaventano quando vedono un disabile: addio.

Barriere del pregiudizio

Le istituzioni, la società non contemplano, forse perché non la vivono, la diversità e quindi non… mi viene una frase in inglese: “Try walking in my shoes” – prova a camminare nelle mie scarpe, che vorrebbe dire contemplare questa diversità. Naturalmente, una parte della società non lo fa, soprattutto chi non ha il problema, però quando sono le istituzioni, quando sono i commercianti o insomma persone con cui noi tutti ci dobbiamo rapportare, diventa una cosa molto grave che non ci sia questa contemplazione della diversità.

La paura di imbattersi in una situazione più grande del previsto esiste. Ma se tutti riuscissero a mettersi nei panni degli altri, forse la battaglia contro il muro di pregiudizi è vinta in partenza. Queste barriere mentali finiscono per diventare mulini a vento. E come Don Chisciotte, senza macchie, senza paura, possono essere sconfitti, SuperAbili grazie all’informazione e all’educare la società alla diversità.

Già questo implica un cambio di prospettiva, necessario per non rimanere ancorati a quello che sentiamo, ma piuttosto, per basarci su ciò che vediamo. La cosa importante è riuscire a far sì che le barriere architettoniche, e non solo, non impediscano alle persone che abbiano anche una disabilità motoria di sentirsi limitati e di sperimentare la diversità in quanto mancanza, perché poi è lì che si crea la vera differenza. 

Consulente

Sono una consulente psicologa dell’associazione AISMEG e l’ho deciso perché vedo che c’è molta sofferenza, non per tutti, ma per molti, che è necessario fare un percorso di elaborazione della notizia della diagnosi quando arriva, ed è necessario a volte essere accompagnati nel percorso. L’associazione aiuta in tutte queste fasi, è l’aspetto psicologico, è fondamentale sia nella diagnosi sia per i familiari, sia per affrontare i cambiamenti. Ma è durante il percorso, per fortuna, perché se ne parla, se ne parla di più, perché anche i ragazzi giovani tendono a nasconderlo meno, come evento della loro vita, però, capita ancora di avere difficoltà a parlarne per non essere additati come quelli diversi appunto.

O per non perdere delle occasioni perché la malattia spaventa e quello che potrà succedere spaventa. Poterne parlare significa anche una poter evitare che diventi uno stigma troppo forte, questa malattia. Mi sembra che parlandone di più facendo informazione e formazione nelle scuole, si riesca un po’ a ridimensionare il pregiudizio. Incontriamo il dato reale piuttosto che la paura, i fantasmi che sono quello che ci spaventa delle malattie e di quello che rende diverso.

Guarda all’individuo che non è la malattia, è l’individuo, ma l’individuo che ha anche la malattia. Dovremmo proprio avere in mente di creare uno spazio di libera circolazione che permetta a qualsiasi forma di potersi muovere liberamente. In associazione abbiamo diverse classi di incontro, io dico sempre il motivo per cui funzionano e che c’è un ascolto reciproco. E si sperimenta proprio l’ascolto. Anche io studio, anche io sto studiando, son già laureato con grandissima difficoltà. Non sono differente.

Parlare

Se ne dovrebbe parlare di più a scuola, sicuramente.  Magari organizzare anche sempre a livello scolastico o comunque anche magari all’interno di alcune associazioni, alcune attività a contatto con queste persone proprio per viverle nel vero senso della parola, perché solo così puoi avere un’idea di ciò di cui si parla. Secondo me le barriere sono soprattutto l’invisibilità. Siamo noi a decidere la nostra vita.

L’unico modo per capire è: mettiti nei panni dell’altro. Noi lavoriamo con l’arte e con l’attivazione creativa. A quel punto ecco lì la diversità, l’attivazione creativa, che è diversa per ciascuno di noi. Nel momento in cui tu la metti in moto, la fai tua, quindi vedi le cose in un modo diverso. Ecco, io sono un’arte terapeuta e lavoro in questo modo, con le immagini e con questi percorsi.

La prima regola davanti alle difficoltà della vita è non arrendersi. Questo i nostri protagonisti lo sanno molto bene: si sono rimboccati le maniche. Chi con lo sport. Chi tornando ad inseguire gli obiettivi prefissati, come per esempio la laurea. Chi con la pittura e, soprattutto, chi ha deciso di raccontare la propria storia per informare gli altri, i più giovani, grazie alla loro preziosa testimonianza. Io non ho mai smesso di usare la parola “vedere”, “punto di vista”, “sguardo” perché fa parte di me. Adesso posso guardare con le orecchie, posso guardare con le mani, con la mia percezione.

In conclusione

Nel corso di questo podcast abbiamo spesso sottolineato come cambiare punto di prospettiva, serva a guardare di lato la realtà, a vedere ogni sua sfaccettatura, ogni suo colore. Perché essere normo abile e avere una disabilità, non implica essere diversi a prescindere. La disabilità è una caratteristica in più, nient’altro. Quella sottile differenza che la società costruisce, in realtà non esiste e per questo è necessario mettersi nei panni di qualcuno, di un nostro amico, di un nostro fratello, di un nostro nonno.

Superare il muro invisibile significa interpretare la società come comunità sociale e non individuale, perché l’inclusione implica la collaborazione. Perché tutti abbiamo bisogno di una spalla, di un consiglio per sentirci più sicuri. Le storie che i nostri protagonisti hanno raccontato servono a questo, ad abbattere ogni barriera, perché nulla è impossibile, dipende dalla nostra visione. Cambiare non è mai facile, ma attraverso l’educazione all’aiuto comune, alla diversità, possiamo avere un piede nel passato con lo sguardo dritto e aperto nel futuro. Niente impossibile.

SuperAbile

SuperAbile è un podcast realizzato da quattro ragazzi universitari del corso di Scienze della comunicazione dell’Università degli studi di Cagliari. In collaborazione con Unica Radio. Per la realizzazione si ringraziano le associazioni:

S.I.A.-Servizi per l’Inclusione e l’Apprendimento e l’AISM di Cagliari – Associazione Italiana Sclerosi Multipla, di cui fanno parte le persone intervistate. Si ringraziano in particolare, la psicologa Anna Perillo, gli Arte terapeuti Graziella De Vita, Fausto Siddi e l’artista Antonella Muresu. Noi selezioniamo le interviste e le riproponiamo per voi. Riascoltale su unicaradio.it o scaricale. Unica Radio. Portala sempre con te.

About Fabrizio Lai

Lai Fabrizio iscritto al corso di "Scienze della Comunicazione"

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