Identificata una firma molecolare per la diagnosi della SLA Un team di ricerca dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina ha individuato una tecnica per diagnosticare la SLA di tipo sporadico.
I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cells. Una nuova tecnica per la diagnosi della SLA di tipo sporadico è stata sviluppata da un gruppo di ricercatori dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Catania (Cnr-Irib). I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista Cells: prelevando fibroblasti cutanei dai pazienti affetti da SLA e analizzando i loro profili di espressione genica, il team ha individuato una firma molecolare che permette di distinguere i pazienti affetti da SLA di tipo sporadico, la forma più comune che non è ereditaria, rispetto ai soggetti del gruppo di controllo.
Questo sostiene l’utilizzo della firma molecolare per la diagnosi molecolare. La SLA è una malattia del sistema nervoso che colpisce i motoneuroni e si caratterizza per debolezza e atrofia muscolare. Nonostante i progressi della ricerca, la diagnosi di questa patologia spesso avviene in ritardo ed è complessa, a causa della natura aspecifica dei sintomi iniziali e dell’eterogeneità dell’eziopatogenesi.
“Lo sviluppo e l’utilizzo di test diagnostici basati sull’analisi dei profili di espressione genica hanno già dimostrato validità clinica in molteplici patologie umane, tra cui le patologie oncologiche, ma finora la loro applicazione nel campo neurologico è stata difficile a causa dell’inaccessibilità del tessuto malato”, spiega Sebastiano Cavallaro, dirigente di ricerca e responsabile del laboratorio di Genomica del Cnr-Irib di Catania, nonché coordinatore dello studio. “Nella ricerca abbiamo osservato che i fibroblasti conservano il background genomico del paziente con SLA: misurando l’espressione di un insieme limitato di geni in queste cellule, è possibile distinguere i pazienti affetti.
I risultati ottenuti potrebbero offrire un ulteriore strumento per la diagnosi di questa patologia, che di solito viene diagnosticata in ritardo rispetto al suo insorgere”. Allo studio hanno contribuito Vincenzo La Bella dell’Università degli studi di Palermo e Francesca Luisa Conforti dell’Università della Calabria.