Nelle vesti di protagonista, regista e sceneggiatore, Pietro Castellitto presenta in concorso alla Biennale di Venezia il suo nuovo film: Enea
La grande bruttezza di una società agiata e viziata, criminale e, ironia della sorte, benestante. Una generazione di giovani che ha tutto, molteplici possibilità di realizzazione per il proprio futuro e, alle proprie spalle, una generazione malinconica, che, probabilmente ha fallito. Pietro Castellitto scopre così le proprie carte e giunge alla 80esima Mostra del cinema di Venezia con Enea.
Primi piani e sfondi sfocati, come se chi vedesse in prima persona fosse ubriaco e agisse nella confusione, venendo immerso in un mondo di personaggi sporchi, ricchi di bruttura e circondati da ostentata bellezza.
Pietro Castellitto ci catapulta in una storia senza un’origine per seguire personaggi che vivono crogiolando nella propria beata confusione. Inseguendo problematiche di poco valore dandovi eccessiva importanza.
Osserviamo personaggi scorretti che parlano l’uno sopra l’altro, sopraffacendo chi ha davvero qualcosa da dire, magari banale, ma almeno lievemente sensato.
Le sedute terapeutiche dello psicologo, durante le quali i personaggi si manifestano per quello che sono, rendono ancora più palese l’entità del disagio nel quale non sono consapevoli di essere immersi. Tuttavia è tutto banalmente normale e comunemente accettato, ma soprattutto privo di soluzione.
Enea è anche una composizione stilistica raffinata di fotografia, luce e scenografia, dove il contenuto è al limite della sopportazione. Per ampia durata della narrazione, è infatti impossibile empatizzare con qualsiasi personaggio. Solo per esasperazione, lo spettatore è portato a schierarsi, se predisposto a inserirsi nella storia, qualora riuscisse a individuarla.
Non c’è un filo, ma più fili narrativi. Come un’antologia di episodi, tenuta insieme da personaggi che hanno porzioni di vicende in comune.
Nota di merito, assoluta, per Sergio Castellitto, interprete sempre all’altezza di qualsiasi ruolo. Castellitto regala un’interpretazione delicata e sensibile, dando voce a un uomo malinconico al servizio di coloro che hanno un trauma da collocare nel proprio archivio di esperienze, senza poter fare altrettanto per se stesso, trovando così sfogo solamente in una rage room.
Enea è un’opera che non si priva di nulla, nemmeno della censura, anzi, autocensura dei baci. Una scelta, probabilmente volta a impreziosire ancora di più il gesto voluto e desiderato dal sentimento più profondo. Una “censura”, soprattutto, e un senso di appagamento, che con una soddisfazione che ricorda un po’, l’irraggiungibile, Cinema Paradiso.
Un pensiero va speso per Spiagge, di Renato Zero, ripetutamente presente nella pellicola, cantata sempre da Valentino, che nell’ultima occasione che ha per interpretare il brano, consuma una manata di pesanti stupefacenti.
Dopo circa due ore, abbiamo assistito al racconto approssimativo, ma dallo sguardo estremamente ampio, di una schiera di personaggi torbidi, oltre il confine della legalità, poveri d’animo e circondati dal lusso, viziati e ingrati, come la maggior parte di quelli che vediamo ogni giorno nelle vetrine dei social network, ma schierati in una sequenza di sofisticate inquadrature dalla cinematografia studiata e ben realizzata, a realizzare proprio ciò che accade nei social. Castellitto, però, ha scelto per i suoi personaggi un destino ben preciso. Confermando che l’apparenza, l’immagine e le facciate non conservano il loro valore davanti agli eventi inevitabili che determinano la nostra esistenza.