Opera in quattro “quadri” di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, ispirata al romanzo di Henri Murger “Scene della vita di Bohème.
Due grandi rivali
La bohème nasce da una forte rivalità tra Giacomo Puccini e Ruggero Leoncavallo, che gareggiarono a scrivere due opere omonime tratte dallo stesso romanzo. Ad oggi dopo 120 anni la bohème di Puccini è fra le opere più popolari del mondo, mentre quella di “Leonbestia” (soprannome ufficiale dato dal Puccini al povero Leoncavallo) è praticamente dimenticata, “Musetta testa adorata” e l’unica cavatina di cui si conservi memoria.
Il libretto
Scritto da Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, il libretto di laboriosa gestione, presentò subito una serie di difficoltà di adattazione, sia per i personaggi che per le situazioni del testo originario, non adatti ai rigidi schemi e all’intelaiatura di un’opera lirica. Per la partitura Puccini impiegò tre anni, trascorsi tra Milano, Torre del Lago e la Villa del Castellaccio, del conte Orsi Bertolini presso Uzzano; qui completò il secondo e terzo atto, come da lui stesso annotato con una scritta rimasta sui muri della villa. L’orchestrazione della partitura procedette invece speditamente e fu completata una sera di fine novembre del 1895[4].
La prima
In un paio di settimane il 1º febbraio 1896, La bohème vide le scene per la prima volta al Teatro Regio di Torino. Un giovanissimo Arturo Toscanini diresse l’orchestra che accompagnava un cast stellare Evan Gorga (Rodolfo), Cesira Ferrani (Mimì), Tieste Wilmant (Marcello), Antonio Pini Corsi (Schaunard), Camilla Pasini (Musetta). Il successo fu immediato, mentre la critica fu piuttosto ostile, ma dovette presto allinearsi al consenso generale.
Migliorare un capolavoro
Dopo la prima torinese, lo spartito venne leggermente ritoccato su consiglio di Toscanini, questa seconda versione, definitiva e usualmente eseguita, vide le scena al Teatro Grande di Brescia, “”riscuotendo così tanti applausi da far tremare le pareti di scena””.
La vie de bohème
La vita goliardica e spensierata di quattro giovani artisti squattrinati, i loro sogni, i loro amori, la loro amicizia, nella Parigi della prima metà dell’ottocento
Quadro I
In una soffitta nei cieli bigi
E’ la vigilia di Natale, Marcello il pittore del gruppo, è alle prese con un ” Mar Rosso”, Rodolfo il poeta sacrifica il dramma da lui scritto per accendere il fuoco. Entra Colline il filosofo, stupito ché la vigilia di Natale non si concedano prestiti su pegno. Schaunard il musicista entra trionfante con un cesto di cibarie, comprate dopo aver guadagnato qualche soldo. L’inaspettata visita di Benoît, il padrone di casa venuto a reclamare la pigione, interrompe la festa. Liquidato con uno stratagemma il malcapitato, si è fatta ormai sera i bohémiens decidono di andare al quartiere Latino. Rodolfo si attarda un po’ in casa, per terminare l’articolo di fondo per il giornale “Il Castoro”.
Che gelida manina
Rodolfo ormai solo sente bussare alla porta. Una voce femminile chiede di poter entrare per riaccendere il lume . È Mimì, fioraia loro vicina di casa. La ragazza ha un mancamento sono i primi sintomi della tubercolosi. Quando fa per andarsene, si rende conto di aver smarrito la chiave della sua stanza. Al buio a gattoni sul pavimento, i due iniziano a cercarla. Rodolfo la trova e la nasconde, desideroso di trattenere Mimì per conoscerla meglio. La sua mano incontra quella di lei, il poeta si presenta con una delle più celebri arie del teatro mondiale (“Che gelida manina”),chiede alla fanciulla di presentarsi a sua volta. Mimì gli confida d’essere una ricamatrice di fiori e di vivere sola, in un’altra delle più celebri arie del teatro mondiale (“Sì, mi chiamano Mimì”).
O soave fanciulla
I due giovani, in procinto di dichiararsi reciproco amore, vengono interrotti dagli amici che, reclamano Rodolfo dalla tromba delle scale. Il poeta vorrebbe restare in casa con Mimì ma lei propone di accompagnarlo. I due, che dal “voi” formale, sono passati al “tu” degli innamorati, cantano al loro amore, e lasciando insieme la soffitta si baciano.
Quadro II
Al caffè Momus.
Rodolfo e Mimì raggiungono gli altri bohèmiens. Il poeta le presenta “la bella compagnia” e le regala una cuffietta rosa. Al caffè fa ingresso Musetta vecchia fiamma di Marcello, accompagnata dal ministro Alcindoro vecchio e ricco. Visto Marcello, Musetta fa di tutto per attirarne l’attenzione, facendo scenate da prima donna “Quando men vo”. Coglie al volo un pretesto, un dolore al piede per scoprirsi la caviglia e far andare Alcindoro a comprare un’altro paio di scarpe. Marcello non resiste e i due amanti si riconciliano. I quattro amici non anno abbastanza soldi per pagare il conto. Musetta fa sommare al loro conto quello dei bohèmiens lasciandoli entrambi ad Alcindoro. La banda dell’esercito copre la fuga dei nostri amici.
Quadro III
La Barriera d’Enfer
Febbraio, la neve imbianca la Barriera d’Enfer la dogana di Parigi. Passano le lattaie e le pollivendole venute a rifornire la squallida osteria dove Marcello e Musetta lavorano cercando di sbarcare il lunario. Mimì, venuta in cerca di conforto, confida all’amico le sue pene, La vita con Rodolfo si è rivelata impossibile: i litigi le incomprensioni le continue scene di gelosia sono ormai all’ordine del giorno, lui la accusa di leggerezza ed infedeltà. Marcello le confida che anche il suo rapporto con Musetta è in crisi, infatti lo tradisce ripetutamente con uomini facoltosi.
Mimì è una civetta
Rodolfo, che ha passato la notte all’osteria raggiunge Marcello e gli parla di Mimì, ella si nasconde e origlia i discorsi dei due. Sulle prime egli conferma ciò che lei ha raccontato; ma incalzato dall’amico, gli confessa che le sue accuse sono un pretesto: si è accorto infatti che Mimì è molto malata, e che la vita nella soffitta non è salubre per lei. Mimì ascolta, non vista, ma la sua forte tosse la fa scoprire. I due innamorati hanno un duro e struggente confronto, in un duetto stilisticamente unico che vede unirsi anche Musetta e Marcello che battibeccano fino a lasciarsi. Anche Mimì e Rodolfo decidono di lasciarsi ma in primavera, trascorrendo cosi un ultimo inverno d’amore.
Quadro IV
Qui ci vuol riparo perché la fiamma sventola.
Ormai soli Marcello e Rodolfo si confidano le reciproche pene d’amore. Colline e Schaunard li rallegrano con battute, giochi e balli improvvisati, che servono ai nostri bohémiens a mascherare la loro disillusione. Musetta entra trafelata, Mimì sofferente è per le scale, ormai prossima alla fine, vorrebbe tornare in quella soffitta dal suo Rodolfo. Musetta va a comprare un manicotto per le mani di Mimì. Colline decide di impegnare il suo paltò (“Vecchia zimarra, senti”), per contribuire.
Sono andati ?! fingevo di dormire
Con infinita tenerezza i due amanti ricordano i giorni del loro amore, Rodolfo paragona Mimì ad un’aurora lei lo corregge, paragonandosi ad un tramonto, si spegne dolcemente circondata dal calore degli amici. (Questo lungo addio è considerato uno trai più struggenti di tutto il teatro melodrammatico). Mimì è apparentemente assopita, inizialmente nessuno si accorge della sua morte. Il primo è Schaunard, che avvisa. Nell’osservare i movimenti gli sguardi e i volti degli amici, Rodolfo capisce che la fine è giunta, straziato dal dolore grida il nome dell’amata, e piangendo si accascia su lei come a proteggerla.