Dal 18 al 22 marzo il Teatro del Segno va in scena con “GAP / Gioco d’Azzardo Patologico – rovinarsi è un gioco”, scritto, diretto e interpretato da Stefano Ledda
Il dramma di un giocatore con “GAP / Gioco d’Azzardo Patologico – rovinarsi è un gioco”, lo spettacolo del Teatro del Segno scritto, diretto e interpretato da Stefano Ledda. In scena da lunedì 18 marzo fino a venerdì 22 marzo alle 9.30 e alle 11.30, con una recita serale venerdì 22 marzo alle 20 al TsE di Is Mirrionis in via Quintino Sella a Cagliari nell’ambito del progetto pluriennale Teatro Senza Quartiere / per un quartiere senza teatro 2017-2026.
La pièce ispirata a notizie di cronaca e dati reali descrive la “discesa agli inferi” di un uomo la cui vita va in pezzi a causa della passione per il videopoker: una storia emblematica per mettere in luce le insidie nascoste dietro un “innocuo passatempo” che per alcuni soggetti più “fragili” rischia di trasformarsi in una vera e propria “dipendenza” capace di stravolgere la loro esistenza e quella dei loro cari.
Teatro del Segno
“GAP / Gioco d’Azzardo Patologico” è il fulcro del progetto “Sardegna 2023-2024 | Rovinarsi è un Gioco” promosso dal Teatro del Segno che riparte da Is Mirrionis con cinque intense giornate di spettacoli e incontri dedicate agli studenti per sensibilizzare e informare i ragazzi e gli adolescenti sugli “effetti collaterali” che il fascino del gioco e il brivido dell’azzardo possono avere su individui e società, attraverso la forza espressiva e comunicativa del teatro, con momenti di riflessione e confronto con psicologi, con esperti e operatori dei SerD.
“Sardegna 2023-2024 | Rovinarsi è un Gioco” al TsE di Is Mirrionis a Cagliari si inserisce nel progetto di “teatro sociale” del Teatro del Segno ed è realizzato con il patrocinio e il sostegno del della Regione Sardegna e con il contributo della Fondazione di Sardegna.
Una scenografia evocativa
Una scenografia scarna e essenziale evoca il bancone e i tavolini di un bar, con le file di slot machines, ma anche la dimensione domestica e apparentemente protetta di una casa, il rifugio di una famiglia unita e serena, e poi altri luoghi più inquietanti e oscuri, dove esplode la violenza o si annida il ricatto degli usurai, che si susseguono come le “stazioni” di una via crucis, un cammino sull’orlo dell’abisso dove il tranquillo corso di un’esistenza illuminata dall’amore e dagli affetti, alla ricerca di una quieta felicità, improvvisamente muta, si interrompe, cambia direzione sotto l’influenza del “demone” del gioco.
Al centro un uomo solo con i suoi pensieri e i suoi incubi ripercorre i momenti significativi della propria storia, in particolare quell’attimo cruciale in cui un semplice gesto, la decisione casuale di inserire una moneta in un videopoker, cambia il corso degli eventi: vincere a volte può essere pericoloso, la sensazione illusoria di essere baciati dalla fortuna, il denaro ottenuto senza fatica ma soprattutto il sottile brivido del rischio, possono produrre una sorta di momentanea esaltazione, una vaga euforia, ma per alcuni, inconsapevoli “predestinati”, complici anche particolari circostanze, indurre una sorta di “assuefazione”.
La dipendenza
Una predisposizione, una fragilità, un’inclinazione alle dipendenze che potrebbe non essersi mai manifestata in precedenza, come capita a volte per le allergie: il protagonista, un giovane tipografo, con un lavoro sicuro, già fidanzato e in procinto di sposarsi con la donna di cui è profondamente innamorato, scopre all’improvviso questa sua vulnerabilità, ma non sa riconoscerla, non ne ha mai sentito parlare, continua a pensare che in fondo si tratti solo di un “innocente passatempo”, e si lascia quindi travolgere, rovinosamente, dalla passione per il videopoker.
Ipnotizzato dalle sequenze e combinazioni di semi e carte, figure e numeri, trascorre sempre più tempo davanti a quello schermo, inizia a trascurare le amicizie, la famiglia, il lavoro e intanto le perdite continuano ad aumentare, anche perché nell’assurda convinzione di poter, anzi “dovere”, riuscire a rifarsi, invece di fermarsi continua a giocare, e giocare, e giocare ancora. I debiti, i sotterfugi e le bugie per tentare di nasconderli, insieme a quella che ormai è diventata la sua ossessione, lo portano a isolarsi sempre più, nell’illusione di riuscire a proteggere il suo segreto, fino a distaccarsi dalla realtà.
Una storia emblematica, ispirata alla cronaca e basata su statistiche e studi scientifici, documenti e interviste, per mettere l’accento sulle insidie nascoste nel gioco d’azzardo e sul fenomeno sempre più diffuso delle dipendenze a fronte del moltiplicarsi di possibilità e modalità con cui tentare la sorte tra Lotto e Superenalotto, i vari Gratta e Vinci, Bingo e lotterie, i vari concorsi come Turista per Sempre, con estrazioni quasi continue, oltre alle tradizionali corse dei cavalli, videopoker o slot machines e un’infinità di giochi online.
Storie purtroppo comuni
Il protagonista è un individuo assolutamente “normale” e comune, nessun indizio per lui né per gli altri che lo attenda nulla più che un futuro ricco di soddisfazioni professionali e personali, ma una volta innescata la pericolosa spirale, a causa di quella che una volta poteva apparire come una inclinazione al “vizio” e invece è ormai riconosciuta come una vera e propria patologia, una forma di dipendenza “non da sostanze”, in cui il gioco o meglio l’azzardo si rivela non meno temibile di una droga.
“GAP / Gioco d’Azzardo Patologico – rovinarsi è un gioco” è una produzione del Teatro del Segno, con drammaturgia e regia di Stefano Ledda, anche protagonista sulla scena, elaborazione video di Andrea Lotta, trucco di Evelina Bassu (tecnico audio e luci Raimondo Marras) che affronta in modo diretto e inequivocabile, senza moralismi o pregiudizi, attraverso l’immediatezza e la forza espressiva e comunicativa del teatro, un tema attuale e scottante, con gravi ricadute sul tessuto economico e sociale.
La lotta con sé stesso
Nei periodi di crisi e incertezza, di mancanza di prospettive e timori per il futuro il fenomeno della dipendenza da gioco d’azzardo paradossalmente, ma non troppo, si intensifica e come per ogni debolezza, del corpo come dello spirito, chi ne è vittima tende a nascondere o sminuire la gravità della propria malattia, a cominciare da sé e dai suoi familiari.
Un (anti)eroe moderno si scontra simbolicamente sul palco con i suoi mostri e i suoi fantasmi. La sua è una battaglia in solitario, una vera e propria “discesa agli inferi” durante la quale scopre un mondo parallelo che non conosceva ed è costretto a fare i conti con la propria vulnerabilità.
Lo spettacolo si inserisce in una lunga tradizione, tra letteratura e cinema, da Fëdor Dostoevskij con “Il giocatore” a Aleksandr Puškin con “La dama di picche”, a film come “Casinò” di Martin Scorsese, “La stangata” di George Roy Hill, con Paul Newman e Robert Redford, fino a “Molly’s Game” di Aaron Sorkin che indagano i vari aspetti di una inclinazione verso il sottile brivido dell’azzardo, che attraverso le varie epoche si manifesta, in forme differenti, presso tutti i popoli e tutte le culture, che trasforma il piacere del gioco in una pericolosa, e irresistibile tentazione, con conseguenze imprevedibili (e talvolta tragiche).