Le opere di Liliana Cano in mostra fino al 19 maggio a Palazzo di Città a Cagliari: una retrospettiva, curata dall’Archivio Cano, dedicata a una delle figure più interessanti del panorama artistico sardo
“Sono sempre in movimento, mai statica” diceva di sé stessa, ed era una descrizione aderente, perché lo spostamento da un luogo geografico a un altro, e la bramosia della vita, hanno segnato l’opera e la biografia di Liliana Cano. Lo si scorge guardando le sue opere in mostra fino al 19 maggio a Palazzo di Città a Cagliari: una retrospettiva, curata dall’Archivio Cano, dedicata a una delle figure più interessanti del panorama artistico sardo, e non solo, della seconda metà del Novecento.
Oltre cento opere
Allieva di Giacomo Manzù e di Felice Casorati, la pittrice è nata a Gorizia da genitori sardi, trasferitasi a Sassari allo scoppio della seconda guerra mondiale. È scomparsa nel 2021 all’età di 96 anni. Oltre cento opere, tra dipinti e disegni, provenienti da collezioni private, “Il racconto di una vita” è un percorso esaustivo del suo lavoro, influenzato dal contesto storico e culturale in cui Cano visse e operò.
Iniziata alle peregrinazioni durante l’infanzia, al seguito dei genitori, da adulta abitò in Sardegna, poi in Francia, dopo una breve permanenza in Spagna, e infine di nuovo nell’Isola, a Sassari, dove trascorse l’ultimo periodo della sua vita.
L’antologica, che si inserisce nel filone delle mostre dedicate dall’assessorato alla Cultura cittadino alle artiste, segue l’itinerario professionale e biografico della volitiva pittrice. Le prime cinque sezioni ripercorrono il suo lavoro: dal periodo degli esordi (anni ’40), a quello di forte interesse nei confronti delle avanguardie europee (anni ’50 e ’60), passando per il periodo francese (1978 – 1996) e concludendo col rientro in Sardegna (1996 – 2021). L’ultima sezione contiene gli schizzi, su carta da pacco e matita nera a pasta grassa, che ritraggono scorci storici di Cagliari, dove Cano veniva spesso.
Liliana Cano
Colta, dinamica, appassionata di musica e letteratura, l’artista sarda ama i colori caldi e la linea di contorno marcata, il segno spesso e robusto, le superfici di grande formato. Aspetti evidenti nel ritratto del 1964 dedicato al figlio, Igino Panzino, anch’egli affermato pittore. “La storia dell’uomo è quello che mi ha sempre affascinato”, ribadiva, “ed è ciò che ho sempre voluto illustrare”. Come quando, nella seconda metà degli anni Sessanta, si interessa al mondo agro pastorale sardo e i temi delle sue pitture a olio sono il gioco della morra, la tosatura, le feste paesane. E non le basta rappresentarlo, lo vive frequentando gli ovili, il Nuorese, il centro Sardegna.
Negli anni Settanta realizzerà alcuni murales, allora forme di protesta sociale e politica: uno a Ozieri, commissionato dai reduci di guerra, e l’altro a Buggerru, ispirato allo sciopero dei minatori del 3 settembre del 1904. Il decennio successivo, Cano si trasferisce in Francia dedicandosi a grandi cicli pittorici in cui riflette sulla condizione umana, e alla “tensione espressionista” della fase sarda contrappone toni narrativi più intimi e delicati. In Provenza rimarrà 18 anni, e lì traccerà “un universo arcaico, lirico e visionario”.
Al rientro nell’Isola, nel 1996, si stabilisce in campagna, e qui riprende il sopravvento la sua profonda spiritualità religiosa. Lavora alacremente fino alla sua morte. C’era ancora tanto da dire.