Maria Lai protagonista per la Biennale d’Arte Contemporanea

Progetto dedicato a Maria Lai pensato dal direttore artistico Gianni Murtas e dal comitato scientifico composto da Antonello Carboni, Chiara Manca e Damiano Rossi.

Tutto pronto per la prima Biennale d’arte contemporanea di Ulassai dedicata a Maria Lai, domenica 2 giugno a partire dalle 11 al Museo Cannas.

In mostra le opere di 25 artisti sardi che raccontano il contemporaneo nell’Isola e fuori dall’Isola, attraverso i linguaggi della pittura, della fotografia, della videoarte, dell’installazione, della scultura.
Due gli spazi espositivi coinvolti, il Museo Cannas e la Stazione dell’arte, per un’esposizione che sarà visitabile sino a domenica 6 ottobre.

L’iniziativa è promossa dal Comune di Ulassai e dalla Stazione dell’arte all’interno del Progetto Borghi, finanziato dall’Unione Europea attraverso il programma NextGenerationEu-M1C3-Linea A PNRR.
Gli artisti coinvolti sono Silvia Argiolas, Irene Balia, Ruggero Baragliu, Nicola Caredda, Federico Carta, Roberto Cireddu, Siro Cugusi, Roberto Fanari, Paulina Herrera Letelier, Silvia Idili, Marco Loi, Alberto Marci, Silvia Mei, Veronica Paretta, Samuele Pigliapochi, Paolo Pibi, Paola Pinna, Gianmarco Porru, Francesca Randi, Massimiliano Rausa, Giuliano Sale, Stefano Serusi, Danilo Sini, Angelo Spatola, Marco Useli.

«Questa Biennale dedicata a Maria Lai – dice il sindaco di Ulassai Giovanni Soruè un riconoscimento e ringraziamento della Comunità di Ulassai a un’artista che molto ha fatto per il suo paese. Un legame che si è rinsaldato a partire dai primi anni 80 e che con la realizzazione della Stazione dell’Arte nel 2006 ha avuto la sua definitiva consacrazione. L’apertura di questa biennale è l’occasione per ampliare l’offerta museale del Comune di Ulassai. La mostra si svilupperà nei locali della Stazione dell’Arte e nei locali del CaMuC (casa Cannas)».
«Intitolare una biennale d’arte a Maria Lai – spiega il direttore artistico Gianni Murtas significa capire in che modo alcuni aspetti del suo percorso siano ancora oggetto di riflessione. Non si tratta di trovare eredi, ma di vedere se le intuizioni di Maria hanno un senso nell’arte d’oggi».
«Era inevitabile – aggiungono Luisella Cannas e Claudia Contu per la Stazione dell’arteche il tema della prima Biennale dedicata a Maria Lai fosse il modo di pensare il rapporto artista-territorio. Un tema che tocca gli artisti e il grande pubblico; che induce ad approfondimenti soggettivi di un luogo fortemente connotato come Ulassai. Certamente è compito della Stazione dell’Arte valorizzare una tale eredità riproponendo il confronto negli orizzonti del nuovo millennio».

L’idea della Biennale: “Progetto e Destino”

Testo di Gianni Murtas che introduce al catalogo della Biennale

Quando nel 1965 Argan scrisse Progetto e Destino, l’analisi condotta contemporaneamente sul versante artistico e architettonico affrontava una stratificazione di problemi estetici di grande complessità. Il rapporto storico con la natura, le interconnessioni filosofiche delle ricerche; ma l’aspetto più innovativo è stato individuare il riferimento dell’arte del Novecento e delle sue categorie spazio-temporali. Non nella natura ma nella società e nelle sue relazioni, “assumendo come significanti le forme artificiali semanticamente riferibili alla vita e alla attività sociale”.

Se è vero che Maria Lai è stata una delle figure più originali dell’arte del Novecento, viene spontaneo chiedersi in che misura una tematica così significativa abbia ancora un peso nel dibattito contemporaneo.

Giuliana Altea e Marco Magnani nel 1999, presentando a Palazzo Ducale Olio di Parole, sostenevano: “Quest’artista si è mossa fin dall’inizio controcorrente rispetto al suo filone egemone”.

Probabilmente è la sua ambivalenza a farne un riferimento per tanti percorsi. Ed è forse per questo che la combinazione di “progetto e destino”, non è nelle sue opere un’antinomia inconciliabile ma uno strumento di riflessione su legami culturali profondi.

Partire da simili premesse aiuta a capire come la I Biennale di Ulassai ha preso forma. Vi saranno coloro che potremmo definire “pittori-pittori” (Argiolas, Balia, Caredda, Cugusi, Idili, Mei, Paretta, Pibi, Rausa, Sale) ci sono differenze di stile e persino di approccio poetico. Poi ci sono gli installativi ( Idem, Sini, Serusi), che provengono da esperienze di Street Art (Ciredz, Crisa) o di sperimentazione grafica (Marci, Useli). I fotografi (Porru, Randi), i digital artist che operano con le tecnologie di immagine virtuale (Pinna), e, infine, quelli che si occupano della scultura e dell’artigianato (Fanari, Herrera Letelier, Loi).
Ciò che sembra accomunarli è un’interpretazione decisamente libera del rapporto con l’ambiente.

La pittura è presente tra sollecitazioni attuali (la Nuova Scuola di Jena) e suggestioni storicizzate e vicine (Transavanguardia, Magico Primario, Neo Geo). I riferimenti della cultura artistica del XX secolo (Espressionismo, Metafisica, Surrealismo) agiscono come una radice identitaria, spostando su una dimensione esistenziale l’incontro di spunti stilistici.

Per alcuni la tecnica pittorica è un mezzo irrinunciabile. Il dipingere viene vissuto come un prolungamento dei sensi, alimentato da immagini provenienti dal cinema e dalla letteratura, dalla fotografia e da video di ogni genere. Cugusi è un pittore che ha un senso della forma plastico, mentre i dipinti di Balia hanno un’anima letteraria che mette a fuoco la dimensione semantica dell’immagine. Sini e Loi vengono da percorsi diversi ed hanno un approccio alle materie molto personale. Però sono gli artisti in cui la radice artigiana del fare è più intrecciata alla dimensione concettuale dell’opera. Il gioco degli opposti si ripete in termini differenti negli incroci video-fotografici di Porru e Randi.

Dagli ultimi decenni del secolo scorso l’arte ha oscillato tra passato e presente, cronaca e storia, media e museo. Però adesso sembra avvenire in modo diverso. Le nuove esperienze cercano nel passato una memoria storica da confrontare con le informazioni del presente. Nei dipinti di Mei il recupero sul piano pittorico addolcisce il contrasto tra la componente decorativa e la connotazione espressionista della figurazione. Mentre nelle tele di Caredda gli elementi simbolici e i frammenti quotidiani generano un’ instabilità tra realtà della vita e dell’arte. La sensazione è che la pittura incarni la natura del soggetto (l’artista) quanto quella dell’oggetto rappresentato.

Ora i vari sincretismi non vengono più esibiti perché sono un dato di fatto e provocano rovesciamenti di senso che diventano costitutivi del significato dell’opera. Il dipingere viscerale di Argiolas produce una struttura iconografica ipertestuale, mentre l’approccio di Sale sembra rovesciare il procedimento rendendo coinvolgente la destrutturazione dell’immagine. Per entrambi il dipingere è un processo conoscitivo.

Anche Maria Lai giocava tra la suggestioni visibili e quelle invisibili dell’opera per costruire un immaginario condiviso, però ora l’impronta collettiva è meno evidente. Come se, nell’impossibilità di trovare una dimensione organica di comunità, si cercasse almeno un senso di coesistenza. E questo si traduce nella condizione di prossimità che molte ricerche trasmettono. L’astrazione di Paretta ha un’impronta introspettiva che rimanda ad un dato esistenziale assimilabile negli spunti generativi a molta figurazione espressionista. Le soluzioni pittoriche di Useli seguono una metodologia quasi classica nel susseguirsi dei passaggi che progressivamente traducono in segni astratti il dato di partenza.

Tanto Herrera Letelier che Serusi operano sospesi tra arte, architettura e design. Le soluzioni adottate sono differenti, e cambiano di volta in volta. Tuttavia, per entrambi è fondamentale il rapporto dell’opera con l’ambiente circostante, pensato in funzione della relazione dello spettatore con lo spazio.

Gli artisti di Idem Studio fino (Ruggero Baragliu, Samuele Pigliapochi e Angelo Spatola), alternano installazioni come quella in mostra, giocata sulla capacità dei coriandoli di appropriarsi dei luoghi.

Crisa trasferisce su un pannello un racconto visivo che incrocia uno slang da street art con geometrie astrali ispirate ai lavori di Maria. Anche Ciredz rivela nella sua opera orizzonti da parete esterna; nel suo caso l’intervento vira su una plasticità materica, ritmata nella sequenza dei moduli, che suggerisce un punto di incontro fra i segni della natura e i segni dell’architettura. Alla base del lavoro di Marci c’è sempre un incontro di tecniche: incisione e pittura.

In un momento in cui il concetto di comunità vive una crisi profonda l’arte sembra cercare un’empatia con lo spettatore a partire dalla condizione individuale. Le inquietudini dell’artista sono le inquietudini del mondo e l’opera diventa spesso uno specchio in cui riflettersi. Gli sguardi penetranti dei ritratti di Rausa ci inducono a guardarci dentro e a riflettere sulla nostra esistenza. Anche il lavoro di Pinna è molto introspettivo, le tecniche digitali innescano un rimando tra presente e futuro alla ricerca di una dimensione spirituale della vita nell’era high-tech.

Maria Lai avrebbe detto che le opere, realizzate con qualunque tecnica si voglia, richiedono una lettura creativa, altrimenti restano mute. Certo i dipinti di Idili e Pibi sono lavori raffinati, che affascinano a prima vista, però occorre un’interpretazione personale per penetrare davvero il loro mondo. Le geometrie che occultano parti del viso delle figure femminili nei quadri di Idili, o le atmosfere magiche che Pibi crea nei suoi dipinti ci raccontano qualcosa solo se facciamo lo sforzo di trasportarli nel nostro immaginario.

L’arte comincia dallo sguardo, ma lo sguardo non è un semplice vedere e si alimenta di un esercizio continuo. La scultura di Fanari è costruita da una fitta intelaiatura di fili di ferro. A tutto tondo come statue o in bassorilievo come arazzi. Le sue opere forniscono dettagli realistici senza perdere la dimensione fantastica che è frutto di un’esecuzione laboriosa che lascia pochissimo al caso.

D’altra parte, il lavoro dell’artista non è solo piacere del fare; è fatica di mano e di mente. Occorre guardare, pensare, riflettere sulle radici del nostro operare. “Solo quando lo sguardo incontra il pensiero, e ciascuno illumina l’altro in un’unica esperienza nasce l’opera” (Maria Lai, sguardo, opera, pensiero).

About Marco Lecca

Ex-studente del Liceo Artistico Brotzu; Esperto nel campo dell'audiovisivo e del multimediale; Speaker radiofonico di UniCa Radio

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