La recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che richiedere dieci anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza costituisce una discriminazione indiretta verso i cittadini stranieri. Il caso, sollevato da due cittadine di paesi terzi, apre una riflessione sulle norme europee e nazionali relative alla parità di trattamento nel contesto delle prestazioni sociali.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente pronunciato una sentenza importante che riguarda l’accesso al reddito di cittadinanza per i cittadini stranieri soggiornanti a lungo termine nell’Unione Europea. Il tribunale di Napoli aveva sollevato il caso di due donne che, al momento della richiesta della prestazione sociale, avevano falsamente dichiarato di aver risieduto per almeno dieci anni in Italia, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Le due cittadine avevano ricevuto rispettivamente 3.414 euro e 3.186 euro.
Secondo i giudici di Lussemburgo, questa misura rappresenta una forma di “discriminazione indiretta”, poiché il requisito dei dieci anni di residenza, pur essendo applicato anche ai cittadini nazionali, colpisce principalmente i cittadini stranieri, in particolare quelli provenienti da paesi terzi. Questo è in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, che stabilisce che per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo è sufficiente una residenza legale e ininterrotta di cinque anni in uno Stato membro.
Un vincolo di residenza irragionevole e discriminatorio
La Corte sottolinea che uno Stato membro non può estendere unilateralmente il periodo di residenza richiesto per accedere alle prestazioni sociali, poiché ciò costituirebbe una violazione del diritto alla parità di trattamento. La questione solleva importanti considerazioni sul rispetto dei diritti dei cittadini di paesi terzi in Europa.
La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha importanti implicazioni per le politiche nazionali degli Stati membri in materia di accesso alle prestazioni sociali. La Corte ha chiarito che uno Stato membro non può estendere unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto per concedere il trattamento paritario previsto dalla direttiva europea. Questo principio è cruciale per garantire che i cittadini di paesi terzi non siano discriminati rispetto ai cittadini nazionali quando si tratta di accedere a misure come il reddito di cittadinanza, l’assistenza sociale e la protezione sociale.
La sentenza ha quindi sottolineato l’importanza di rispettare il periodo di cinque anni di residenza legale e ininterrotta come requisito sufficiente per ottenere tali diritti. Inoltre, la Corte ha stabilito che non è possibile penalizzare penalmente una falsa dichiarazione riguardante il requisito di residenza, poiché ciò violerebbe il diritto dell’Unione. Questo aspetto della sentenza sottolinea ulteriormente la necessità di una legislazione nazionale conforme ai principi e alle normative dell’Unione Europea.