Ada Negri, di cui ricorrono i 150 anni dalla nascita – è un caso
A un secolo e mezzo dalla nascita è ora di restituire alla poetessa lombarda ciò che è suo. Poco amata da autori come Gramsci, Serra e Croce, forse non le venne perdonata la sua ultima ricerca di Dio
La poetessa-novellista amata da un sacco di donne e lettori italiani prima della Prima guerra mondiale, durante il periodo tra le due guerre (morì nel 1945) è finita nella damnatio memoriae post-bellica riservata a quelli (non tutti) che avevano in qualche modo avuto a che fare con il fascismo.
Avanzare di anni e pene che non tolsero mai vitalità e libertà alla ragazza esordiente additata sul finire dell’800 sul “Corriere della Sera” come la “vergine rossa” per la forza e la nettezza con cui fece entrare nelle sue liriche la condizione operaia. Si trattava di una cultura animata di socialismo umanitario, non marxista, una linfa che da una comune radice poi si divise nella esperienza del fascismo e in quella del socialismo in parte confluito nel Partito comunista e viva in mille sfumature dentro la civiltà lombarda.
Ebbe la “colpa” d’esser nella cerchia di intellettuali protetti dalla Sarfatti, di scrivere sul “Corriere” di Ojetti. O forse chissà, la storia della letteratura è una storia come tutte, un po’ vera e un po’ falsa. Ma di fatto il nome di Ada Negri resta e restano i suoi versi. Essi arrivano in taluni casi a essere forti ora, e vivi ora. Molta della sua fama la Negri doveva alle novelle. Prose sulla povertà e sulla condizione della donna.