Scoperto un buco nero “dormiente” nell’universo primordiale

Il telescopio spaziale ha rivelato un antico buco nero supermassiccio, offrendo nuove prospettive sulla formazione e l’evoluzione dell’universo primordiale.

Un gruppo internazionale di astronomi ha compiuto una scoperta eccezionale grazie al telescopio spaziale James Webb (JWST), un’iniziativa collaborativa tra la NASA, l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e la CSA (Agenzia Spaziale Canadese). Gli esperti hanno identificato un buco nero supermassiccio “dormiente” situato in una galassia che esisteva quasi 13 miliardi di anni fa. Questo risultato, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, rappresenta una pietra miliare nell’astrofisica moderna, aprendo nuovi scenari per la comprensione dell’universo primordiale.

La scoperta riguarda un buco nero con una massa pari a circa 400 milioni di volte quella del Sole. Questo oggetto cosmico risale a meno di 800 milioni di anni dopo il Big Bang, rendendolo uno dei buchi neri più antichi e massicci mai osservati. La sua peculiarità sta nel fatto che si trova in una fase di inattività, un aspetto mai osservato prima in un buco nero di tali dimensioni risalente all’epoca della reionizzazione. Questo periodo, che ha avuto luogo tra 10 e 13 miliardi di anni fa, ha visto il gas intergalattico ionizzato dalle prime stelle e galassie, segnando una fase cruciale nell’evoluzione dell’universo.

Un’analisi approfondita sulla galassia ospite

L’osservazione di questo buco nero ha sollevato importanti domande sul processo di crescita dei buchi neri e sul loro impatto sulle galassie ospitanti. Il rapporto di massa tra il buco nero e la sua galassia di appartenenza rivela un dato sorprendente: il buco nero rappresenta il 40% della massa stellare totale della galassia. Questo indica una fase di crescita incredibilmente rapida seguita da un lungo periodo di inattività. Tali osservazioni potrebbero cambiare il nostro approccio alla comprensione della formazione stellare e dell’evoluzione delle galassie.

Secondo Raffaella Schneider, professoressa di Fisica alla Sapienza Università di Roma, questa scoperta è affascinante in quanto un buco nero che cresce a ritmi superiori al limite di Eddington dovrebbe inevitabilmente accumulare gas in modo continuo nel tempo, il che rende la fase “dormiente” ancora più misteriosa. I ricercatori non si aspettavano di osservare un buco nero in questa condizione, eppure la sua esistenza dimostra l’esistenza di meccanismi di crescita finora sconosciuti.

La potenza del telescopio James Webb

La chiave di questa straordinaria scoperta risiede nella potenza del telescopio James Webb. Grazie alla sua sensibilità e risoluzione avanzate, il JWST ha permesso agli astronomi di osservare oggetti cosmici finora invisibili, tra cui quelli situati a distanze enormi e con luminosità molto bassa. Questo telescopio, attualmente lo strumento più avanzato per l’astronomia infrarossa, ha aperto una finestra inedita sull’universo primordiale, rivelando dettagli su oggetti distanti quasi 13 miliardi di anni luce. La capacità del telescopio di scrutare attraverso la polvere cosmica è stata fondamentale per identificare il buco nero e la sua galassia ospite.

In futuro, gli astronomi sperano di identificare altri buchi neri “dormienti” nell’universo primordiale, il che potrebbe portare a risposte su uno dei misteri più intriganti dell’astrofisica: come siano riusciti a formarsi così velocemente dopo il Big Bang. Le osservazioni di questi antichi buchi neri potrebbero anche gettare nuova luce sui processi di evoluzione galattica.

Il buco nero “dormiente” rivela nuovi misteri sull’evoluzione delle galassie primordiali.

L’osservazione di un buco nero supermassiccio di questa antichità solleva interrogativi anche sulla sua influenza sulle prime galassie. Secondo Alessandro Trinca, ricercatore presso l’Università degli Studi dell’Insubria e già post-doc all’INAF di Roma, questo squilibrio di massa suggerisce che il buco nero abbia rubato enormi quantità di gas dalla galassia, ostacolando la formazione stellare. Trinca sottolinea che la fase dormiente potrebbe derivare dal fatto che il buco nero ha esaurito le risorse di gas disponibili per la sua crescita, lasciando la galassia senza nuovi materiali per creare stelle.

La ricerca condotta dal team internazionale ha il potenziale di rivoluzionare la nostra comprensione dell’evoluzione dei buchi neri e delle galassie nell’universo primordiale. Il lavoro di Rosa Valiante, ricercatrice dell’INAF di Roma e coautrice dello studio, evidenzia l’importanza di questa scoperta non solo per la scienza, ma anche per il progresso tecnologico. La necessità di osservare e comprendere i buchi neri continua a spingere i limiti delle capacità scientifiche e tecnologiche.

About Martina Pani

Nerd appassionata di tecnologia, scarabocchi e storie di misteri e creepy. Sono curiosa, un po' pazza, e non dico mai di no a nuove esperienze e avventure.

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